RECENSIONI – “Piano Canto le Parole” ha fatto sognare
“Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte… Volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Addio colomba, addio!…”
SCARPERIA E SAN PIERO – Di recente, nel parco di San Piero a Sieve dedicato ad Antonio Berti, si è svolto, nell’ambito della manifestazione “Musica e Teatro sulla via degli Dei”, lo spettacolo “Piano Canto Le Parole”, un omaggio al poeta Dino Campana e ai suoi “Canti Orfici”. L’opera letteraria di Campana è stata letta dall’attore e regista Ugo De Vita e accompagnata da brani musicali della soprano Federica Balucani e del pianista Pape Gurioli. La manifestazione di prosa, canto e musica si è svolta nel luogo che rappresenta una tappa per gli amanti del trekking nel tragitto che unisce Bologna a Firenze: un’antica viabilità storica della lunghezza di 130 km utilizzata fin dall’epoca romana per unire Felsina (Bologna) con Faesulae (Fiesole).
Dal palcoscenico, il sindaco Federico Ignesti, in veste di Assessore al Turismo dell’Unione dei Comuni del Mugello, ha introdotto lo spettacolo raccontando un curioso aneddoto. E’ l’alba del 3 agosto 1916, di giovedì: nella stazione ferroviaria di San Piero, scende dal treno la scrittrice Sibilla Aleramo, proveniente dalla stazione di Panicaglia, piccola frazione di Borgo San Lorenzo, dove si trova in villeggiatura da alcuni giorni. Da San Piero prende una corriera in direzione di Barco, una frazione di poche case lungo la strada per Firenzuola. Lì ad attenderla c’è Dino Campana, che da quel giorno diviene il suo amante.
Barco farà da cornice a quei giorni d’amore irripetuti e irripetibili che si trasformeranno nel tempo in una relazione tormentata e litigiosa. Gli amanti affideranno i loro tormenti a diverse lettere che si scriveranno in quel periodo, alcune delle quali di singolare bellezza. Per Campana, l’Aleramo rimarrà l’unico amore della sua vita tanto che, dopo averla perduta, lui verrà internato in manicomio dove morirà.
I Canti Orfici sono una straordinaria raccolta dove si alternano testi in prosa e in versi e nella quale scrittura e vita coincidono con il poeta. Sono la storia di un’anima bella e martoriata, di viaggi sospesi tra verità e immaginazione, un mezzo per riuscire ad affermare la propria libertà. Sono la sorta di un lungo monologo del poeta che, come vaneggiando, costruisce ritratti onirici ed enigmatici con efficaci ripetizioni di suoni e immagini: al centro vi è una figura di donna sfuggente e immateriale che viene indicata come “Chimera”, ovvero una creatura mitica e un sogno impossibile da raggiungere. È questo -una purezza agognata e insieme sentita come impossibile nella realtà presente- il nodo della poesia di Campana.
Il “Mat Campena”, così chiamato dai suoi concittadini di Marradi, aveva iniziato a dare segni di squilibrio mentale fin dalla giovane età, forse a causa della severità e dell’incuranza da parte della madre nei suoi confronti. Quando finisce di scrivere i canti, ha già trascorso metà della sua vita fra viaggi, carcere e manicomi. E sarà nel cronicario di Castel Pulci dove “Dino Edison” concluderà il suo ultimo viaggio. Un tipo veramente “sui generis” il poeta: stravagante, permaloso e attaccabrighe, con continui cambi d’umore, geniale, sregolato e matto come un cavallo. Ha studiato parecchio, a volte con scarso rendimento, e ha letto molti autori, fra cui Dante, Leopardi e D’Annunzio. E’ stato influenzato anche da Leonardo che ritroveremo nella poesia “Chimera, una fra quelle lette da Ugo De Vita sul palco.
L’opera del poeta nasce con titolo “Il più lungo giorno” e il libretto, manoscritto sul cartone delle confezioni della pasta alimentare, verrà consegnato dall’autore a due signori facenti parte dell’ambiente culturale fiorentino e fondatori della rivista “Lacerba”, Ardengo Soffici e Giovanni Papini, per la pubblicazione del testo. Per uno strano caso del destino, loro perderanno quel libretto e sarà la memoria di Dino, con l’aiuto di una macchina da scrivere, a riportare in vita il manoscritto (pur con numerose modifiche rispetto al testo originale).
Lo spettacolo “Piano Canto le Parole” si è concluso con la lettura di una poesia disperata di Eros Alesi dal titolo “Caro papà”. Eros è stato un ragazzo fragile, bisognoso di dare e ricevere amore, che si è tolta la vita all’età di vent’anni.
Ugo De Vita, leggendo alcuni versi del manoscritto, fra cui “21 settembre, presso la Verna”, “Viaggio a Montevideo”, “L’invetriata”, “La Chimera”, “Genova”, è riuscito a catapultare lo spettatore dentro la storia dei canti facendolo sognare e permettendogli di visionare quei luoghi che il poeta stesso ha descritto. Forse la passione che ha profuso nel leggere quei canti è dovuta anche alla comune ricorrenza della data di nascita: Ugo e Dino, infatti, sono nati entrambi il 20 di agosto. Molto brava (e affascinante) anche la soprano Federica Balucani, una voce suadente, sempre omogenea in tutti i registri. Dotata di un ampio ventaglio dinamico, ha cantato brani inerenti al testo (fra cui “O sole mio”, “Creola”, “Hymne a’ l’amour”, “Habanera”), in maniera sublime. Ottimo anche il lavoro del maestro Pape Gurioli che ha suonato al pianoforte in modo professionale e originale, esprimendo la sua autenticità.
Uno spettacolo quindi profondo e coinvolgente dove tutti i personaggi presenti sul palco hanno conferito quel quid in più che solo la passione per il proprio lavoro riesce a trasmettere. Consiglio a chi non era presente di non perdere l’occasione di verificarlo di persona il 31 agosto prossimo a Marradi.
La serata ha avuto anche un’apertura musicale del duo SP4, Elena e Cosimo, molto simpatici e altrettanto bravi. Curioso sarebbe stato poter sapere la fine del discorso che loro hanno tentato di raccontarci, riguardo alla scelta del nome del gruppo, ma dopo una lunga attesa per l’inizio dello spettacolo, tutto d’un tratto, la Lentezza si è arresa, fronteggiata da un attacco imminente della Fretta…
Carla Gabellini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 luglio 2019
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