RECENSIONE – “Mi amavi ancora…”: il valore della tenerezza
La verità sono mani e occhi che bruciano nel silenzio
VICCHIO – Sabato 8 febbraio ha debuttato, al Teatro Giotto di Vicchio, “Mi amavi ancora…”, con Ettore Bassi, Simona Cavallari, Giancarlo Ratti e Malvina Ruggiano. Nell’interpretare il testo di Zeller, gli attori hanno intrapreso un arduo compito, vista la complessità dell’opera che prevedeva uno scandaglio sui sentimenti umani. Simona Cavallari, elegante nel suo abito rosso bordeaux, ha retto la situazione della moglie che non vuole credere a un tradimento del marito scrittore defunto, perseverando nell’ideale dell’uomo che da sempre aveva dentro di sé difeso. “Mi fai tenerezza” le ha detto ad un certo punto il marito in un ricordo da lei rievocato: è trapelata proprio la forza della tenerezza, di quella virtù definita da molti rivoluzionaria. Gli occhi della protagonista hanno espresso quei sentimenti che erano imprigionati nel suo contegno, nelle sue parole contate e nella sua dizione. A un animo così puro si è contrapposto il carattere vivace e subdolo del marito, interpretato da un incisivo Ettore Bassi, che con lei mostra un cipiglio dolce e calmo, atteggiamento non confermato dai modi animati e beffeggiatori esibiti nei confronti dell’amante. L’incontro fra lo scrittore e l’ipotetica amante è stato uno dei momenti in cui Bassi ha dato il meglio di sé, dando un picco di intensità al ritmo che era rimasto disteso in molti punti. Ha destato particolare interesse l’utilizzo ripetuto del sorriso, che ha oscillato da sintomo di incoraggiamento a presa di giro. Colpisce pensare che si sia insistito su quella smorfia, da sempre indicativa dell’empatia, in un’opera in cui si accentua la non conoscenza dell’altro, che resta sempre un altro da me, al di là di ogni tentativo di interiorizzare del carattere altrui. Il loro rapporto si è esplicitato nel balletto, in cui l’eleganza e la grazia si sono trasformate in forzatura, fino al momento nel quale gli attori si sono rincorsi e spinti al muro, unico elemento solido, mentre tutte le certezze cadevano a pezzi. La ricerca della verità ostentata dall’inizio alla fine ha convinto che l’unica cosa vera sia stata l’amore della donna per un’idea, che, come tale, non finisce neppure con la morte del marito, elemento reso evidente dall’aggirarsi continuamente di quest’ultimo nel palcoscenico. Già il titolo, con quei punti di sospensione, è indicativo dell’atteggiamento di cui si è fatta interamente portavoce la protagonista che sul finale ha pronunciato un “Mi amavi ancora…” carico di dubbio e al tempo stesso di un’ostinata convinzione, che convergono in una sorta di filosofica epochè, ovvero di perenne sospensione del giudizio.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 febbraio 2020