RECENSIONE – Anfitrione: un dipinto dei grandi difetti in stile de Chirico
Io voglio essere qualcuno!
BORGO SAN LORENZO – Un testo di una civiltà caduta, scritto in una lingua morta, da un uomo noto come Plauto, ma di cui molto ci è sconosciuto… elementi che farebbero pensare a qualcosa di lontano, che può sì esser bello, interessante, a volte comico… ma passato. Un’idea come questa è senz’altro comprensibile, ma è difficile concepirla dopo aver assistito allo spettacolo “Anfitrione”, diretto da Filippo Dini, giovedì 12 dicembre al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo. L’attualizzazione dell’opera plautina è stata operata con intelligenza, sapendo cogliere i tratti indissolubili dell’animo umano, soprattutto quelli negativi. Questa attenzione alle imperfezioni è stata presente da subito, nel momento in cui l’autista Sosia (Giovanni Esposito), trovandosi davanti ad un individuo identico a se stesso, rivendica la propria identità, mostrandosi geloso di sé e di tutte le sue caratteristiche. La comicità ha assunto toni amari, soprattutto nel messaggio principale per cui “essere nessuno è più comodo”: si suggeriva quindi di scegliere una sorta di kantiano stato di minorità, nel quale niente è sentito come dovere. Nelle frasi ipocrite di Anfitrione (Antonio Catania), si è visto l’apogeo del populismo, di una ricerca di consensi fine a se stessa, secondo il metodo corrente per cui si fa leva sulle paure delle persone per avere un voto in più. Far sentire il metus hostilis dei latini vicino alla ricerca odierna di un capro espiatorio ha reso lo spettacolo una denuncia autentica e vera, senza che ciò alterasse il tenore dell’opera originale. Alle battute del politico, infatti, il pubblico si è mostrato molto partecipe, conscio di riconoscervi qualcosa di già udito; ci sono stati molti applausi a scena aperta da parte degli spettatori, disposti anche a perdonare il momento in cui è scappata la risata fra Sosia e Anfitrione. La fragilità è divenuta via via la protagonista assoluta, dal momento che ciascuno, pur nella difesa del suo sacro santo ego, ha messo a nudo i propri difetti. Questo non risparmia nessuno: né gli dei, incapaci di provare veri sentimenti, né il politico senza principi, i servitori omertosi o la moglie di Anfritrione, interpretata da una splendida Barbora Bovulova, che è riuscita ad annullarsi dentro un personaggio subdolo e buonista che infine, come gli altri, capisce di aver mentito perché le era rimasto comodo. È emersa la distorsione della verità, che assume qui l’accezione agostiniana, per cui l’uomo odia la verità per amore di ciò che pretende che sia verità: questo ha costituito il tratto che più ci avvicina a quei romani non troppo antichi.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 14 dicembre 2019