“La parte migliore di me”…. Concentrarsi sul “quanto”….ma il COME??
Abbiamo assistito alla rappresentazione “La parte migliore di me”, interpretata da Andrea Gambuzza e Ilaria de Luca. Che dire? Intanto che concordiamo sul messaggio rilasciato dagli attori, ovvero che il teatro possa essere un veicolo di valori e un metodo di insegnamento innovativo e per questo alziamo i calici a Gambuzza e De Luca. Ciò che ci chiediamo è se tale idea sia stata resa egregiamente nell’opera rappresentata sabato primo dicembre al Teatro Giotto di Vicchio, poiché, parlando di un’arte, non sempre risulta semplice far concordare la bellezza con la parte didattica. Ci spieghiamo meglio: tutti i problemi che affliggono il povero signor Carletti lo portavano a disperarsi per non essere un padre esemplare: ma tali forme di bassa autostima e depressione dipendono (nella maggior parte dei casi) dalla quantità dei problemi o da una mancata capacità di saperli affrontare? La difficoltà non pensiamo dipenda tanto dal “cosa” o dal “quanto”, ma piuttosto dal “come” reagiamo di fronte a ciò che abbiamo davanti, il che non si è evinto dall’accavallarsi dei fatti tragici che pesavano sul protagonista. Avremmo preferito un maggiore approfondimento psicologico di questi, che avrebbe sicuramente lasciato spazio a varie sfaccettature caratteriali, favorendo cambiamenti di registro nella recitazione, che è sembrata discreta, ma piuttosto statica.
Più approfondito è sembrato il ruolo dell’assistente sociale, anche se non è sfuggito ai cliché della studiosa trasandata e distratta, anch’essa demoralizzata dai propri errori.
Un’analisi più accurata di entrambi e di ciò che voleva rappresentare quasi una sorta di “complesso di Telemaco”, comune nella società odierna, avrebbe sicuramente giovato ad un’opera di questo tipo.
Il Criticone