A PORTE CHIUSE – Valentina Cervi “I ragazzi sono pagine bianche da scrivere”
BORGO SAN LORENZO – L’attrice Valentina Cervi, impegnata sia in teatro sia sul piccolo e sul grande schermo, che molti ricorderanno nelle opere “Ritratto di Signora” di Jane Campion, “La via degli angeli” di Pupi Avati, “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee e in molti altri lavori, racconta alcuni dei tratti più rilevanti delle sue interpretazioni. Nipote del celeberrimo Gino Cervi, l’artista romana analizza la parte attualizzante di alcune opere e mette in relazione il messaggio da esse rilasciato con quanto sta accadendo oggigiorno.
Fra i suoi primi lavori spiccano opere cinematografiche come “Ritratto di signora” o “Artemisia. Passione estrema”, che trattano di temi molto diversi, ma sembrano uniti da una sorta di filo rosso, che può essere individuato nella figura della donna, la quale viene fraintesa proprio a causa del suo voler far sentire le sue ragioni. Infatti, sia la penna di Henry James, sia la vita tormentata della Gentileschi ci offrono un’idea del contrasto che c’è spesso fra le ambizioni femminili e la società. Quanto questi pensieri sono attuali ancora oggi e quali altre opere potrebbero essere rappresentate per esprimere questa concezione? Sicuramente ci sono tantissime opere di questo tipo, in ogni forma artistica: nel cinema, in teatro, nella pittura, come anche nella musica e nella poesia. I film “Ritratto di Signora” e “Artemisia. Passione estrema” sono uniti sia dall’idea dell’emancipazione femminile sia dall’analisi di uno scontro fra ambizioni personali e tessuto sociale. Un’altra caratteristica che li accomuna è che sono entrambi diretti da registe donne, di cui purtroppo ancora oggi ci sono pochi casi. Il dramma di Isabel Archer, protagonista di “Ritratto di Signora”, per alcuni versi è simile a quello di Artemisia. La Archer è una donna di estrazione semplice che ricerca la libertà e si trova costretta ad accettare dei compromessi. Artemisia era figlia d’Arte, dunque il suo essere rivoluzionario è condizionato anche dal fatto che poteva permettersi di perdere qualcosa. Questa idea è presente tuttora: le donne che possono parlare sono coloro che hanno alle spalle una condizione che lo permette, possono rischiare di perdere tutto. Ci sono invece situazioni in cui la denuncia diventa un problema enorme perché la donna, privata di ogni mezzo, non riesce ad andare avanti. In questo momento in particolare, in cui tutto è così fragile, non molte sono disposte ad andare contro corrente, proprio perché è sempre più difficile per una donna capire quale voce si deve alzare o cosa bisogna denunciare. Più che una questione di genere, è una questione di potere, perché dovunque assistiamo all’approfittarsi del lavoro altrui e per una donna dire “no” è ancora più difficile. Paradossalmente, una situazione come quella della pandemia, in cui la crisi porta alla disperazione, fa sì che esca la voce più vera di noi stessi: il “no” che tante volte viene taciuto, in questo caso viene gridato al mondo, proprio perché le persone si ritrovano completamente senza mezzi e, talvolta, senza dignità.
A tal proposito, un altro personaggio femminile da lei interpretato, che sembra essere totalmente sottomesso dalla mentalità ottocentesca, è la principessa Maria di “Guerra e Pace”. Pur trattandosi di una donna remissiva, ad un certo punto Maria dice che sarà felice della felicità degli altri, rivelando così una sorta di anima eroica, che poi verrà premiata dall’autore con la felicità terrena. Questa idea di “vivere per gli altri” è anche secondo lei un esempio di coraggio? Maria Bolkonskaja è un’iniziata, una donna completamente guidata da una luce perenne che da un lato la protegge, dall’altro la fortifica. Penso che ognuno di noi abbia una vocazione simile a quella di Maria, è una sorta di dono che abbiamo, il quale deriva dalla nostra anima. Sicuramente la principessa Bolkonskij riesce a protestare grazie alla sua fede, a cui si sente libera di abbandonarsi senza la preoccupazione di trattenere a sé le cose materiali.
In altre interviste, lei ha parlato, in riferimento alla sua esperienza personale, del fatto che bisogna sempre restare con i piedi per terra. Quindi, qual è secondo lei il rapporto che deve sussistere fra talento e studio? Lo studio è essenziale per poter manifestare il talento. La persona dotata va poco avanti se non si impegna: ho visto persone meno talentuose raggiungere maggiori risultati rispetto ad alcune più promettenti proprio grazie al loro lavorare costantemente. Forse da giovani studiare è più semplice, poi spesso ci si adagia sui risultati ottenuti, mentre è proprio in questi momenti che non bisogna demordere. La vita ci porta a metterci in gioco e quello che noi dobbiamo fare per continuare ad arricchirci è lavorare, lavorare sempre.
In teatro, ha invece recitato in “Le regole dell’attrazione”, che parla del bisogno dei ragazzi di provare emozioni forti, per cui talvolta ricorrono anche agli stupefacenti. Oggi si parla dei giovani come dei grandi penalizzati dal momento che stiamo vivendo, si pensa spesso a loro come persone senza punti fermi, però è anche vero che molti si impegnano in varie attività: studio, teatro, politica, volontariato… lei cosa pensa di questo? Io penso che i giovani siano la materia più preziosa che abbiamo: sono pagine bianche che devono essere scritte. Credo anche che non si debba essere troppo severi con loro, giudicando i momenti di incertezza che possono avere: spesso questi fanno parte di una crescita personale. Penso spesso ai nostri ragazzi, agli adulti di domani, li guardo con grande tenerezza e credo che la loro crescita dipenda proprio dal loro cercare un significato in ogni cosa.
Qualche anno fa, è venuta al Teatro degli Animosi di Marradi per presentare il film “Provincia meccanica”, un film che racconta la storia di una famiglia che si oppone alla mentalità conformista, ricevendo non poche critiche. Questa idea di voler essere conformi è forte ancora in questo periodo in cui chi difende la “sacralità della famiglia” spesso è il primo a tradirla, come si evince dalla storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata di casa perché omosessuale? C’è ancora tantissima strada da fare, i pregiudizi sono ancora radicati. Spero che questa ragazza, dopo tutto il dolore, riesca a trovare la libertà, magari proprio grazie al suo distaccarsi da una famiglia che non accetta le differenze. Si ritiene ancora il diverso come l’altro da noi e questo è sbagliato. Ci sono luoghi in cui queste discriminazioni sono più forti, penso ad esempio alle periferie o ai piccoli paesini.
Questo tema, anche se con una diversa declinazione, è presente anche in uno dei suoi ultimi lavori, il film “La scuola Cattolica”. Cosa può dirci a riguardo? Il film deve ancora uscire, è tratto dal romanzo di Edoardo Albinati, si avvicina a quanto ho detto precedentemente perché racconta la storia di un gruppo di ragazzi all’ultimo anno di scuola, alcuni dei quali hanno completamente smarrito la strada, sono diventati violenti. Il film parla infatti del massacro del Circeo, avvenuto nel 1975, ai danni di due giovani ragazze. Non vuole essere un film ideologico, si indaga su cosa possa aver reso questi giovani dei criminali. Ci si concentra sul loro rapporto con le famiglie, si capisce che i genitori non si erano interrogati su di loro: li guardavano, ma non li avevano mai visti realmente.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 17 aprile 2021