A PORTE CHIUSE – Artisti online: risorsa o fare “di necessità virtù”?
BORGO SAN LORENZO – In questo periodo le artiste e gli artisti stanno facendo i conti con la situazione. Rimboccandosi le maniche, hanno cercato altre modalità per ri-proporre i propri lavori sulle piattaforme digitali. Interi festival si sono trasferiti su Zoom, Skype oppure sugli stessi social network. É avvenuta così, prima di tutto per necessità e un po’ perché l’attesa era divenuta estenuante, un’apertura verso il mondo virtuale; un mondo che, per sua costituzione, annulla la vera natura del teatro.
Ci chiediamo però come sia possibile conciliare questa dimensione dove l’essenza della corporeità viene soppiantata da un mezzo busto bidimensionale, da un corpo la cui pelle presenta pori chiusi e inodore, con la necessità del contatto, inteso nel senso etimologico di cum tangere, propria del teatro.
Dove è finito il corpo dell’artista? Dove è il corpo del pubblico?
Il corpo dell’artista sembra anestetizzarsi e assuefarsi, mentre quello dello spettatore inizia a vivere uno stato di ipertrofia e l’accecamento aumenta sempre di più.
Vogliamo davvero affidare alle macchine la nostra corporeità e il modo abituale di abitare la scena? O sarebbe meglio tutelare il teatro, l’arte, da queste logiche che dominano la nostra società in cui l’accelerazione è la forza motrice?
L’arte è un luogo di risonanza, un ambiente in cui stabilire il contatto di noi stessi con il mondo; un mezzo per educare la nostra immaginazione, al fine di creare nuovi mondi. Il teatro mostra gli stereotipi, le convenzioni e le cornici mentali della società per poi distruggerli e neutralizzarli.
L’arte crea interstizi in cui è possibile smarrirsi. Riappropriamoci della nostra corporeità, della nostra carne al fine di liberarci da un corpo violento, per utilizzare una nozione cara a Judith Butler, determinato e costretto dalla “megamacchina”, che ci rinchiude e ci porta ad uno stato di passività. L’Arte è una forma di cura di noi stessi e dell’ambiente in cui viviamo.
In attesa di tempi migliori, in questo tempo sospeso, rubato, non resta che cercare di re-inventare un nuovo modo di vivere il teatro per far sì che l’attesa che non sia vana, ma sia una dimensione di possibilità, tenendo conto delle eventuali problematicità.
Barbara Carulli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 dicembre 2020