RECENSIONI – Lucii e quella maledetta notte dell’Heysel
BORGO SAN LORENZO – Il 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles c’era anche il sedicenne Matteo Lucii. Era partito dal Mugello, in pullman insieme a un gruppo di tifosi, per andare a vedere una trasferta della sua squadra del cuore, la Juventus, in una finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool.
Dal palcoscenico di Microscena, Matteo racconta, attraverso i suoi ricordi personali, insieme a quelli di un poliziotto belga e di un tifoso inglese (sempre da lui interpretati) e con l’aiuto di immagini di repertorio, la tragedia di quel giorno maledetto. Quel giorno, sia per l’inadeguatezza delle forze dell’ordine, sia per l’alcool ingerito a fiumi dai tifosi del Liverpool, che per lo stadio fatiscente unitamente alla violenza degli ultrà, trovarono la morte ben trentanove persone: trentadue furono gli italiani, quattro i belgi, due i francesi e un irlandese. Il più piccolo aveva undici anni. I feriti furono oltre seicento.
Il protagonista di questo racconto aveva iniziato a tifare la Vecchia Signora sin da quando, per la prima volta, suo zio lo aveva portato allo Stadio Comunale di Firenze (era l’anno 1975) per assistere alla partita Fiorentina – Juventus, che era finita 4-1 a favore della squadra viola. La Curva Fiesole, per quella vittoria, esultò sventolando bandiere e striscioni, con cori, fumogeni e suonando tamburi. La tifoseria juventina invece accusò il colpo con molta dignità. Matteo, che a quel tempo aveva solo sei anni, vide su quegli spalti i cowboy e gli indiani; fu allora che prese la decisione di stare dalla parte dei più deboli (gli indiani). Con il passare del tempo, fu vana l’opera di convincimento dello zio tifoso viola che provò in tutti i modi a redimere quel bimbo: Matteo è sempre rimasto fedele ai pellerossa…
Il viaggio per Bruxelles in pullman insieme ai suoi compaesani, è lungo e tortuoso e dura ben due giorni (“Il viaggio della speranza”): a un certo punto la noia prende il sopravvento. Ma fra un pronostico e l’altro, sonore risate e un giornale letto e riletto da tutti tanto da far diventare lise le sue pagine, finalmente la comitiva arriva a destinazione. Una volta arrivati, però, si comincia a notare che qualcosa non va, soprattutto nell’organizzazione. Fuori dallo stadio, c’è l’automezzo della televisione al posto di quelli della Croce Rossa, mentre i volontari di quest’ultima sono stati spostati molto più lontano. A controllare i biglietti d’entrata c’è solo una persona che dà subito l’impressione di non conoscere neppure come sia fatto il biglietto. Inoltre, a fronte di una capienza massima di 50mila posti, vi sono ben 58mila persone che entrano in quello stadio. Una volta dentro, ci si accorge subito che i poliziotti sono veramente pochi per tenere a bada quell’enorme quantità di persone che gravitano dentro la struttura. In seguito, si verrà a sapere che gli agenti dovevano essere 1300 mentre sono solo 400. Per giunta, il loro comandante non aveva mai partecipato a nessuna riunione sulla sicurezza e – addirittura – non era mai entrato in uno stadio. I cancelli delle uscite di sicurezza sono chiusi e mancano le chiavi per aprirli (i relativi lucchetti verranno tagliati con delle pinze). Circa un’ora prima dal fischio d’inizio della partita, fra le due tifoserie, inizia un “ping pong di sassi”, innescato dall’esuberanza degli inglesi. Ma gli animi degli hooligans s’infiammano ancora di più: adesso gli inglesi iniziano la manovra del “take an end” (prendi la curva) che consiste nello spingersi in massa verso i tifosi avversari. Una simulazione per spaventare le tifoserie opposte, molto conosciuta nel campionato inglese, ma sconosciuta in Italia. Si comincia a cercare aiuto dai poliziotti, ma la maggior parte di essi sono fuori dallo stadio impegnati ad inseguire i rapinatori di 900 franchi belgi (22,31 euro attuali) dalla cassa di un venditore di panini. I tifosi juventini del settore Z, impauriti e colti di sorpresa dall’azione degli inglesi si ammassano contro il muro opposto alla curva dei sostenitori del Liverpool. Alcuni di essi, in preda alla disperazione, si lanciano nel vuoto, altri cercano di scavalcare il muro per entrare nel settore adiacente e finiscono sugli spunzoni delle recinzioni. A un tratto, il muro su cui si sono ammassati i tifosi bianconeri crolla per la troppa pressione delle persone e moltissime di loro vengono travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d’uscita.
Così perderanno la vita 39 persone per un assurdo destino in cui incompetenza, superficialità e negligenza hanno fatto la loro importante parte.
Ma dopo il danno, anche la beffa: la partita si giocherà ugualmente contravvenendo agli ordini di Gianni Agnelli che aveva comunicato alla sua squadra di non giocare. Si giocherà per motivi di ordine pubblico e per salvare altre vite: così verrà riportato dalle televisioni di tutto il mondo. E Michel Platini dirà per l’occasione: “Quando al circo cade il trapezista, lo portano via e fanno entrare i clown”.
La tragedia dell’Heysel ha però un antefatto: la finale della Coppa dei Campioni del 1984, giocata allo stadio Olimpico di Roma tra la Roma e lo stesso Liverpool. Quel giorno la Roma perse la Coppa, venendo sconfitta ai rigori della squadra avversaria. I tifosi romanisti, non avendo ingoiato bene la sconfitta, tesero un agguato ai tifosi inglesi, fuori dallo stadio, che furono assaliti con spranghe e coltelli. In netta inferiorità numerica, gli inglesi furono costretti a subire ma si ripromisero di fargliela ripagare. E l’anno dopo si presentò loro l’occasione di “cancellare la vergogna di Roma”.
A questo punto vi chiederete che fine ha fatto il nostro Matteo. Beh, lui oggi sta bene perché riuscì a venir fuori illeso da quella bolgia; consapevole però di dover la sua vita ad Andrea, il ragazzo di Pieve a Nievole che salì sul pullman insieme a lui…
Scritta e diretta da Matteo Lucii, “La maledetta notte dell’Heysel” è andata in scena per ben tre volte facendo sold-out a tutti e tre gli spettacoli. Dal palcoscenico, Matteo è riuscito a trasmettere agli spettatori i suoi sentimenti di rabbia, dolore e tristezza che, in quel giorno infausto, hanno segnato per sempre il suo cuore con una ferita che ancora oggi fatica a rimarginarsi.
Carla Gabellini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 6 Giugno 2019