RECENSIONE – L’incanto della Didone ed Enea
BORGO SAN LORENZO – Giovedì 9 maggio è andata in scena al teatro Giotto di Borgo San Lorenzo l’opera “Dido and Aeneas” , musicata da un giovane Henry Purcell e ispirata al libro IV del celeberrimo poema virgiliano “L’Eneide”, con alcune varianti apportate dal librettista Nahum Tate.
Solitamente non molto rappresentata dalle nostri parti, è forse una delle prime opere musicate e scritte in Inghilterra (verso la fine del 17° secolo) ed è in lingua anglosassone. Rammentiamo, a questo proposito, che la lingua in cui si rappresentava maggiormente l’opera nei teatri europei era l’italiano.
Prendendo probabilmente spunto dal teatro shakespeariano, il librettista inserisce i personaggi delle streghe (protagoniste dell’impressionante inizio del secondo atto) e di una Maga, che ordisce una terribile trama contro Didone: invidiosa della felicità della regina di Cartagine, invia un elfo travestito da messaggero degli dei per convincere Enea a partire da Cartagine per compiere la missione che il destino gli ha assegnato (fondare una nuova Troia sul suolo latino) e quindi ad abbandonare l’amata regina. Partito l’eroe troiano, non potendo più vivere senza di lui, la regina si abbandona alla morte tra le braccia dell’amica e confidente Belinda con un lamento struggente, dove si raggiunge il culmine del pathos (“Ricordati di me, ma dimentica il mio destino”).
Un cast eccellente quello che ha reso possibile la rappresentazione del capolavoro di Purcell. Il regista Matteo Cecchini ha saputo assumere il controllo della luce e dell’oscurità, conferendo all’opera un’atmosfera che lasciava già presagire l’ineluttabilità dell’amaro destino. Grazie all’uso mirato dello spotlight, diventato anch’esso protagonista dello spettacolo, i personaggi hanno avuto il potere di stregare, di incantare e di stupire.
Il “Guardiano del Tempio”, il maestro Andrea Sardi, con la professionalità e la passione che mette nel dirigere il suo coro e gli orchestrali, ha saputo trasmettere a noi spettatori un entusiasmo senza pari. Anche in questa occasione, la sua eleganza e il suo carisma hanno reso la sua bacchetta una cosa vivente, dotata di significato fin nel suo più minuscolo movimento.
Pure la “Corale Santa Cecilia” ha fatto la sua parte: come sempre ha saputo unire la tecnica vocale con quella espressiva in modo inscindibile, creando la differenza tra “cantare professionalmente” ed “esprimersi musicalmente”. Un esempio calzante: tutti sono in grado di camminare, ma non tutti riescono a muoversi con quella grazia naturale che ha una modella in passerella, che la distingue e che fa la differenza.
Semplicemente perfetti, sia scenicamente che vocalmente, i solisti che con il loro savoir faire hanno evidenziato una curiosità nel pubblico in sala che lo ha reso attento e partecipe (Bravi! Cosa rara!).
Neppure la caduta di un oggetto “non identificato” dal ballatoio, proprio nel finale mentre calavano dei drappi rossi (idea geniale del regista) a simboleggiare il sangue (che nel testo virgiliano sgorga dal ventre della regina per mano di una spada) è riuscito a rompere l’incanto della serata…
Carla Gabellini
Foto Benedetta Guidi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 14 maggio 2019
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