RECENSIONE – Doppio sguardo sul “Platonov” de Il Mulino di Amleto
BARBERINO DI MUGELLO – Lo sguardo di Danilo Nucci e Ivan Ferraro a confronto dopo aver visto il “Platonov” de Il Mulino di Amleto al Teatro Corsini di Barberino.
“CERCASI FELICITÀ AL CORSINI”
Checov può ritenersi soddisfatto dell’operazione che è stata compiuta da “Il mulino di Amleto” sul suo Platonov. L’opera dell’autore russo è stata ripulita di ciò che non era funzionale al succo della narrazione e ai temi dominanti. Sparisce il contesto storico in cui è stata scritta e ciò che ne rimane si cala perfettamente nella realtà contemporanea. Ne resta, pertanto, l’essenziale: tutto quello che abbatte la barriera del tempo e rende l’opera di stringente attualità, un po’ come accade per tutti i capolavori della letteratura e del teatro. E così non assistiamo più a vicende umane condizionate dal contesto storico della Russia di fine ’800, ma osserviamo semplicemente uomini e donne alla disperata ricerca della felicità.
Quanta malinconia nella falsa e illusoria allegria che tenta disperatamente di animare quelle tavole imbandite su cui scorrono fiumi di vodka. E quanta tristezza in Platonov che affida ad amori compulsivi la sua personale ricerca della felicità. Colpisce anche il diverso atteggiamento donna/uomo nei confronti dell’amore. Per le donne di Platonov esso appare come sentimento sincero e motivato. Per Platonov l’amore, oggetto astratto e impersonale, è solo un mezzo, un tentativo per arrivare alla felicità e ha poca importanza quale delle sue donne sia l’oggetto di questo sentimento.
Ho apprezzato molto anche il finale rivisitato che ha risparmiato Platonov dalla morte per mano di Sonja. L’ho interpretato come un affettuoso monito al protagonista, un’altra possibilità, un invito a vivere ancora per ricercare strade piu sicure alla ricerca della felicità.
Un plauso agli attori, tutti bravissimi.
Danilo Nucci
“PLATONOV, un’inedita e riuscita festa tra comicità, ritmo e… ricerca della felicità”
La vita… perchè non viviamo come avremmo potuto? La domanda è lecita, no? L’infelicità regna sovrana, lo sconforto e la frustrazione l’accompagnano come due serve a sostegno. L’uomo, sempre così convinto di poter forgiare il proprio destino e di indirizzarlo verso la rotta giusta, all’improvviso si accartoccia su se stesso e si pone questa fatidica, scomoda domanda.
Non prima di averla annacquata in una gioiosa festa senza freni in cui ospiti e padroni di casa danzano e sputano vodka. In questa rivisitazione trasgressiva e molto divertente, riscritta da Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo, del dramma “non rappresentabile” di Anton Cechov, proposta dalla compagnia “Il Mulino di Amleto” diretta dal regista Marco Lorenzi, perfino il pubblico, all’entrata, è chiamato a partecipare, con un unico fermo obiettivo: Ma cacciamola via a pedate questa malinconia! urla il giovane Sergej alzando il bicchiere al cielo. Il maggiordomo-dj Jakov (Giorgio Tedesco) è all’inedita console nella tenuta della vedova Anna Petrovna (Roberta Calia). Qui non c’è spazio per la tristezza, o meglio, essa viene bandita a suon di musica e brindisi, finchè all’improvviso non si aprono delle “crepe” e i vecchi dissidi, gli intrighi, le relazioni sospese non saltano fuori a destabilizzare ciò che era già incerto, ma che taceva. Al centro il maestro elementare Platonov (Michele Sinisi), conteso dalla padrona di casa, dalla moglie Sasa (Rebecca Rossetti) e dalla moglie di Sergej, Sofja (Barbara Mazzi), con cui sette anni prima aveva avuto una relazione amorosa. Emergono anche i dissidi con Porfirij Glagol’ev (Stefano Braschi), anziano proprietario terriero in procinto di acquistare la tenuta in rovina finanziaria e attratto dalla piacente Anna Petrovna; e le pressioni del figlio medico Klrill (Angelo Maria Tronca), che sperpera i soldi del padre e si lega in un diabolico patto ai danni di Platonov con il criminale (e batterista, per l’occasione) Osip (Yuri D’Agostino). Con furore rabbioso la realtà torna a imporsi con la sua estenuante complessità, con i suoi richiami all’ordine e alla responsabilità. Tanto che il protagonista, prigioniero di una immobilità simile a quella di un pesante sasso su cui tutti inciampano facendosi del male, non sa più che pesci prendere. Nè lo sanno gli altri personaggi, persi ad inseguire chi la vedova Petrovna, chi lo stesso Platonov, chi una vita libera e senza pensieri all’insegna dell’arte e di notti mondane.
Poi, nel dramma di una scelta, la più ardua e lacerante, le parole di Sofja riecheggiano come una catarsi: Ma sì, accada quel che deve accadere! Accada il meglio, accada il peggio, che importa? La ricerca della felicità è soltanto un’illusione ricca di aspettative che solo per caso si realizzano. Si ipotizzano partenze in luoghi lontani, romantiche fughe risolutive.
Il ticchettìo conclusivo scandisce ciò che normalmente dovrebbe accadere: la morte del protagonista per mano della disperata Sofja, e la pioggia che si adagia sull’epilogo come una degna colonna sonora. Normalmente…
Tuttavia, la vicenda resta sospesa in quell’attesa, in quel non-finale che si sceglie di non realizzare, in quell’apertura che lascia spazio a qualcos’altro. Al pubblico, se vuole, la libertà di immaginare o costruire un’alternativa, un esito-esistenza diversa rispetto a come la vita sembra andare, ogni volta. Del resto la felicità… sarà sempre altrove.
Ivan Ferraro
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 14 gennaio 2020
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