INTERVISTA – William Shakespeare raccontato da Woody Neri
VICCHIO – Il nostro è un pubblico diverso da quello che, intorno al 1600, veniva intrattenuto dalle opere di William Shakespeare. Le esigenze sono cambiate, si ricerca la dinamica e per questo i teatranti devono trovare le modalità di adattarsi a questo nuovo scenario. C’è però qualcosa di indissolubile: la ricerca della bellezza. Le opere di Shakespeare restano immortali grazie alla loro forza e modernità. Per questo, I Sotterraneo hanno scelto di mettere in scena uno spettacolo che mantenesse un alto livello di attenzione, senza però rinunciare ai testi più profondi del panorama letterario. Ce ne parla l’attore Woody Neri.
Quale aspetto di William Shakespeare avete voluto evidenziare nel vostro spettacolo? Abbiamo dovuto consultare diversi tipi di fonti, cercando di capire quali informazioni fossero reali e cosa si potesse dedurre da esse. Molto ci viene dai documenti catastali, che ci raccontano quali proprietà avesse Shakespeare e dunque dove abitasse. Ci siamo concentrati sul periodo da lui trascorso a Londra come drammaturgo, durante il quale emergono due figure: l’uomo di teatro e l’uomo mercante, che deve vivere del suo lavoro e mantenere una famiglia. Poco si sa del rapporto con i suoi familiari, se sia rimasto fedele o meno alla moglie Anne. È molto curioso anche il rapporto con il luogo natio, il ritorno a Stratford-upon-Avon è significativo, dimostra un grande attaccamento alle proprie radici.
La regia di questo spettacolo è della compagnia Sotterraneo. Lo scorso anno portarono al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo lo spettacolo “Overload”, molto diverso da questo ma ha in comune l’idea della difficoltà di mantenere l’attenzione oggigiorno… Sì, infatti. La prima parte dello spettacolo Shakesperology riprende proprio questo concetto, al quale i ragazzi del Teatro Sotterraneo sono molto legati. L’ecologia dell’attenzione è trionfante quest’oggi, mentre ai tempi di Shakespeare più di tremila persone riuscivano a non battere ciglio davanti a tragedie, che duravano due o tre ore. È interessante riflettere su questo cambiamento.
Interessante o triste? Non vorrei giudicare, è però vero che dobbiamo scontrarci con questa realtà, con il fatto che oggi siamo abituati, anche dalle nuove tecnologie, ad avere tutto nell’immediato. Da questo dipendono una serie di disturbi dell’attenzione e il teatro deve scontrarsi con questo tipo di pubblico. Deve trovare la modalità per creare tensione, attraverso un ritmo veloce e dinamico.
Il celebre Monologo di Amleto è stato modificato nel vostro spettacolo. Quale sono le ragioni di tale scelta? È scritto al passato, abbiamo cercato di metterlo in relazione con il dramma personale di Shakespeare, a cui è morto il figlio Hamnet, che, guarda caso, ha il nome simile a quello del principe infelice. Il drammaturgo vede nella morte del figlio un’occasione mancata, una perdita irreparabile. Abbiamo perciò deciso di ambientarlo al passato come se Shakespeare fosse stato davvero nell’aldilà, dove Amleto sogna di andare. La morte non è più ignota per lui, perché l’ha conosciuta attraverso la morte del figlio.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 27 dicembre 2019
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