INTERVISTA – Maria Cassi “Ho portato in giro per il mondo la toscanità”
BORGO SAN LORENZO – L’attrice toscana Maria Cassi, molto legata al Mugello, racconta alcuni aspetti della sua carriera, dagli studi a Bologna fino all’attività del Teatro del Sale. Inoltre, spiega come si possa esercitare la creatività in un momento complesso quale quello che stiamo vivendo.
Lei è un’artista fiorentina, ha recitato in molte opere in cui emerge il lato epico della toscanità, che non è frequentemente valorizzato. C’è, secondo lei, un modo che consenta di far emergere tale aspetto della nostra lingua senza che questa venga intesa solamente nel suo aspetto goliardico? Sì, io credo molto nel valore della nostra lingua. Nei miei lavori attingo sempre alla mia provenienza fiesolana e alla tradizione del nostro territorio. Ho avuto un babbo artigiano che rispondeva in tutto e per tutto all’idea del tipico toscano e si comportava come tale. È curioso perché ho portato in giro per il mondo la toscanità, sono stata in Giappone, in America, per tutta l’Europa…Il toscano è unico, è effettivamente la mia lingua, è un vettore importante nel mio lavoro, anche se non l’unico.
Ha lavorato molto in Francia. Ha riscontrato un modo diverso di intendere il teatro rispetto all’Italia? Io ho seguito molto la scuola francese. Benché abbia studiato a Bologna, nella scuola Alessandra Galante Garrone, ho imparato le tecniche francesi, che erano legate alla figura del clown, all’osservazione psicologica del corpo, al sentire il proprio corpo e quello degli altri. Mi sono nutrita di queste tecniche e le ho plasmate in una lingua che è divenuta universale, come la mia comicità, dal momento che non faccio cabaret legato al momento o, ad esempio, alla situazione politica. In Francia, anche grazie a Marcel Marceau, c’è una grande tradizione legata al mimo, alla pantomima e all’espressività.
Lei è uno dei capisaldi del Teatro del Sale a Firenze. Qual è lo spirito della vostra attività? Io sono direttrice artistica del Teatro del Sale, assieme a Fabio Picchi. È un’esperienza straordinaria, sono 10.000 i soci. Io e il mio assistente facciamo una programmazione che dura 11 mesi all’anno dal martedì al sabato con artisti provenienti da ogni parte del mondo. Il Teatro del Sale è la bottega in cui io creo i miei spettacoli, che scrivo io stessa, ad eccezione di My Life with men and other animals. La fruizione dello spettacolo è accompagnata dal cibo. Le persone arrivano alle 19.30, vedono la cucina, mangiano e alle 21.00 inizia il teatro, a volte accompagnato dalla musica. Spesso la serata viene conclusa proprio da me. È un’esperienza di condivisione: si condivide la cena con le persone al tavolo, si assaggia del cibo biologico e poi si assiste ad uno spettacolo in cui c’è uno scambio vero fra pubblico ed artista.
Lei è venuta spesso nel Mugello. Rispetto a tutto il suo repertorio di opere, quale sceglierebbe per recitare nella nostra zona? Io sono mezza mugellana, poiché mia mamma era di Ronta, dunque ogni volta che creo uno spettacolo penso al Mugello e lo concepisco per recitarlo nel vostro territorio. Nel 1991 feci uno spettacolo con i musicisti Leonardo Brizzi e Dario Cecchini, due persone straordinarie.
Spesso ha parlato del suo lavoro dicendo di alternare risata e riflessione, per andare all’interno del comico. In questo periodo, quale potrebbe essere un modo per stimolare la comicità? La mia comicità è sempre legata ad una riflessione etica. Anche quando faccio il clown, elaboro una drammaturgia ben precisa. In Italia, quando si parla del clown, si pensa al pagliaccio, ma in realtà è una tecnica molto antica e strutturata. Poco prima del lockdown, ho fatto uno spettacolo chiamato “Bingo”, tratto da Viaggio intorno alla mia camera, scritto nel 1794 da Xavier de Maistre, che finì agli arresti domiciliari per aver combattuto in un duello. Ho raccontato, in maniera quasi profetica, il suo isolamento, forse proprio perché sentivo un desiderio di ritiro dalla mia vita frenetica. Poi, durante l’estate, ho fatto vari spettacoli, fra cui una serata a Bergamo. In queste occasioni, ho parlato in maniera ironica di quello che avevamo passato. Ho citato episodi divertenti come il marito che russa, il gatto che dorme sulla mia testa e ho parlato della consolazione che dà il rivolgere lo sguardo al cielo. Ho scherzato sul fatto che non si sente più un colpo di tosse a teatro, perché tutti hanno paura di essere presi per “untori”. Ovviamente ho cercato di alleggerire una situazione che, nella sua realtà, è stata e per certi versi è ancora drammatica. Il mio voleva essere un modo affettuoso per rendere dei sorrisi rimasti spenti per diverso tempo.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 novembre 2020