INTERVISTA – Anna Meacci: “C’è in me un angolino di speranza che alimento nonostante tutto”
BARBERINO DI MUGELLO – L’attrice Anna Meacci, ormai da molti anni impegnata nell’attività teatrale del territorio, prende parte alla rassegna “La rinascita della bellezza”, iniziativa culturale organizzata dal gruppo Catalyst a Barberino di Mugello. Di seguito, l’intervista in cui racconta il suo progetto con alcune considerazioni sull’attualità.
Lei domenica 26 luglio ha recitato nell’opera “Salvata”, che appartiene alla rassegna “Personae”, il cui titolo contiene il termine latino che indica la maschera teatrale, il moi dell’individuo, la parte più intima. Come ha affrontato questa idea nei suoi monologhi? L’idea della maschera è stato un modo per dare il titolo ad un percorso di scrittura, di ricerca di individui che hanno vissuto delle vite straordinarie. Questo titolo mi è servito per far capire il legame fra le loro vite e il teatro, che, naturalmente, doveva essere anche nel titolo.
Fra le “Personae” a cui ha dato voce c’è Olympe De Gouges, scrittrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”. Se si dovesse scrivere oggi questa dichiarazione, quali diritti dovremmo mettere perché inesistenti o non rispettati? Per prima cosa, metterei il diritto all’incolumità, tanto delle donne quanto degli uomini, soprattutto nel mondo del lavoro, in cui i numeri delle vittime durante il lockdown hanno avuto una crescita esorbitante e poi anche all’interno del nucleo familiare. Nel testo di Olympe c’è una grande attualità, prima di essere ghigliottinata lei ha detto “Lascio la mia anima alle donne”, il suo grido è ancora forte, anche perché in molti ambiti stiamo tornando indietro. Ci sono diritti che vengono dati per acquisiti, invece ci dobbiamo sempre tornare sopra, mi riferisco all’aborto, alla parità di stipendio, alle pari opportunità sul luogo di lavoro. Dobbiamo portare avanti questa eredità.
Invece, nello spettacolo “Salvata” si parla di una donna che è sopravvissuta al Titanic…Sì, questa è una storia strana. La conosco da molti anni perché si tratta della prozia di una mia carissima amica. Salvata ne ha sempre parlato poco, dopo l’uscita del film “Titanic” ha iniziato a raccontarla di più. È anche una scusa per parlare dell’emigrazione italiana: bisogna riflettere sul fatto che dal 1861 più di 30 milioni di italiani sono emigrati in America, lasciando le loro case per avere più possibilità. Salvata è l’ultima sopravvissuta a questo evento, è morta a 96 anni. Ha saputo del naufragio quando era già grande. La madre riuscì a salvarsi, portandola in grembo, dopodiché aspettò la salma del marito e decise di tornare in Italia. Si risposò dopo 17 anni e da questo matrimonio ebbe un’altra figlia, Neva. La donna raccontò la vicenda a Salvata e a Neva durante i bombardamenti, il cui rumore le ricordava quello dei razzi che partivano dal Titanic per mandare il segnale SOS. Quando Salvata è morta, ha chiesto di essere sepolta accanto al padre mai conosciuto, affinché potessero ritrovarsi da morti.
Questa storia ci parla anche della casualità… Sì, loro si sono salvati perché benestanti, viaggiavano in seconda classe. Talvolta la vita è imprevedibile: noi possiamo fare tutte le scelte che vogliamo, ma a volte è lei a scegliere per noi. La famiglia di Salvata si ritrovò sul Titanic perché non poterono partire prima su un’altra nave. Spesso si deve essere anche un po’ fatalisti, lo dimostra lo spirito di Neva, che, pur conoscendo la vicenda, è andata nove volte in crociera.
La vicenda del Titanic è nota per una particolare negligenza, unita alla forte calamità. Questo può consentirci di fare parallelismi con il mondo di oggi? Nel mio spettacolo faccio parallelismi con l’attualità per quanto riguarda il tema dell’emigrazione. I popoli migrano sempre, l’uomo ha sempre viaggiato per migliorare le proprie condizioni di vita, come gli Europei che fuggirono in America, dove poi vollero fare i padroni. Riporto passaggi di giornali in cui si parla degli Italiani emigrati in Belgio e in Francia, dove non erano voluti perché “puzzavano” o perché “erano delinquenti”. Addirittura, in un giornale svizzero c’era scritto “Prima gli svizzeri”: sembra che qualcuno abbia voluto prendere in prestito questa frase; come diceva Gramsci “La storia insegna, ma non ha scolari”. Inoltre, questa storia ci racconta molto della presunzione degli uomini: il Titanic era detta la “nave inaffondabile”, lo dicevano anche dopo la collisione con l’iceberg. Ci insegna anche che le tragedie non fanno distinzione: sebbene vollero far salire sulle scialuppe prima gli appartenenti alla prima classe, l’uomo più ricco del mondo morì annegato perché davano la precedenza alle donne e ai bambini.
L’iniziativa a cui lei prende parte si chiama “La rinascita della bellezza”. Se la bellezza ha bisogno di rinascere significa che per un periodo non c’è stata o solamente che è rimasta sopita? Bellezza per me significa tante cose. Se devo parlare di bellezza rispetto all’umanità, mi trovate pessimista perché riscontro che siamo sempre più disumani. “Bello” è un termine che si utilizza per fare dei giudizi, come quando diciamo “Che bello esserci ritrovati” e, indubbiamente, il ritrovamento fra pubblico e attore è bello. Se penso alla bellezza artistica, noto che negli anni l’amore e il rispetto per questo per essa non è stato al centro delle istituzioni, della politica, della scuola… anche durante il lockdown è emersa poca attenzione verso il mondo culturale. C’è invece molto riguardo per la bellezza epidermica, per l’esteriorità, che io trovo esagerato.
Quali prospettive ha per la ripartenza del teatro? Questa è veramente una domanda difficile perché siamo in una situazione di standby. È strano e quasi irrisorio sentir parlare di un ritorno alla normalità: questo non è possibile, serve piuttosto una nuova normalità. L’esperienza del Covid19 ha evidenziato delle lacune nel nostro lavoro, che enfatizzava il concetto dell’arte come merce, potrebbe essere l’occasione per ripensare il tutto. È difficile crederci, se non impossibile, visto quanto, negli anni, ci hanno sempre trascurato. Però io ci spero, nonostante tutto. C’è dentro di me un angolino piccolo piccolo di speranza, che continuo ad alimentare. È piccolino, ma c’è. Ed io lo alimento, sempre.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 luglio 2020