“I MANOSCRITTI NON BRUCIANO” – Il Maestro e Margherita
Ieri pomeriggio, in trasferta con il Corsini al Metastasio di Prato, abbiamo assistito a “Il Maestro e Margherita” da Bulgakov. E’ stato un po’ come trovarsi sotto una cascata che ti investe e ti sovrasta: percepisci la massa d’acqua che ti colpisce ma non le singole gocce che la compongono. I temi che piovono sulla testa dello spettatore che assiste allo spettacolo, i passaggi repentini da un livello all’altro della storia, sono così tanti che diventa complicato coglierli immediatamente nella loro singolarità. Se si aggiungono poi le tematiche, del tutto soggettive e individuali, indotte nella mente di ciascuno dall’ascolto di quelle parole, dalla visione di quelle storie, si capisce che si possa restare un po’ frastornati da questo testo bellissimo ma complesso, come accade tutte le volte che sei investito da un flusso troppo veloce e carico di informazioni. Ti occorre un po’ di tempo per rielaborare e mettere ordine.
Cito alla rinfusa e senza dare priorità: abbiamo visto raccontare una storia d’amore che si può definire eterno perché è proprio così che si risolve nel finale, un amore che rifiuta una soluzione quieta e di comodo ma non vera, per preferire un’eternità senza compromessi, all’inferno. Ci siamo posti domande sull’esistenza di Dio, sul fatto che Gesù sia esistito veramente, sulla presenza del demonio che, per assurdo, non è rappresentato come il male assoluto, ma una presenza fondamentale, senza la quale non ha senso il credere in Dio e perseguire il bene che ha un valore proprio grazie all’esistenza del male. Abbiamo assistito ad uno strano parallelo fra vicende diverse, lontane duemila anni: da una parte i tormenti e i pentimenti di Pilato che non si perdona di aver permesso che un innocente fosse condannato a morte. Dall’altro la Russia post rivoluzionaria degli anni ’30 in cui si snoda la vicenda della visita del demonio a Mosca, la storia d’amore, la critica letteraria di regime che colpisce l’opera del Maestro e lo spinge a bruciare il suo lavoro, senza sapere che “i manoscritti non bruciano” , l’accenno ai Gulag. Come ammonisce la scritta sul muro di fondo, non serve liberarsi dalla fede in Dio, nella speranza che così facendo si elimini anche il maligno: questo sarà comunque presente nella società.
Interpretazione impeccabile, come del resto la regia, senza la minima incertezza, congegnata senza tempi morti e sbavature, come i perfetti ingranaggi di un orologio.
Dopo questa visione, ho pensato che non esiste un teatro “facile” come opposto a un teatro “difficile”. Esiste invece un buon teatro che si distingue da quello mediocre per l’effetto che questo ha sul pubblico. Già, il pubblico: qualche volta ci si accorge che uno spettacolo è stato costruito senza considerare il consumatore finale, come se il teatro possa essere autoreferenziale, in altre parole la negazione stessa del teatro. Non è questo il caso.
Danilo Nucci