A PORTE CHIUSE – Selvaggia Quattrini “Riappropriamoci della nostra identità”
BORGO SAN LORENZO – Di nuovo con “A porte chiuse”, nonostante la riapertura: è infatti doveroso continuare a dar voce ai nostri artisti. “È il momento di far rumore” dice Selvaggia Quattrini in questa intervista, rivendicando la necessità di far parlare il mondo della cultura. Attrice a tutto tondo, impegnata nei film “Marianna Ucria”, “Cuori perduti”, “Gli angeli di Borsellino” e vincitrice dell’Anello d’Oro alla Miglior Voce della Televisione del Festival Internazionale di Doppiaggio 2021, la Quattrini lascia trapelare l’importanza di avere dei sogni, anche qualora questi possono sgretolarsi allo scontro con le pareti fredde della realtà.
Sul grande schermo, ha recitato nel film “Marianna Ucria”, storia di una ragazza che, violentata da bambina, diventa muta dal dolore. Molti dei personaggi rappresentano il massimo grado della fragilità, eppure trapela, soprattutto in Marianna, una forza enorme, che rende rumoroso il suo silenzio. Quando, secondo lei, il silenzio può dare fastidio e come questa idea si può rendere nel cinema? Una domanda così richiede una risposta articolata. Io credo che il silenzio dia fastidio quando rappresenta una risposta a qualcuno che è stato aggressivo nei nostri confronti. Spesso è più doloroso di mille parole ed è la reazione più dignitosa che possiamo avere. Tuttavia, non so se questo mutismo possa bastare. Veniamo da un periodo in cui la cultura è stata zitta, a causa della pandemia. Ora deve risuonare lo strepitio dell’arte, il suo rumore, che deve essere sempre più forte. Per quanto riguarda invece la modalità con cui può essere reso il silenzio nel cinema, penso che siano tantissimi i modi poiché credo che il cinema sia l’Arte che più di tutte possa esprimere questo tipo di risposta: i film spesso ci parlano anche con il silenzio.
Ha anche recitato in “Ma quando arrivano le ragazze?”, il cui tema è anche il rapporto fra amicizia e competizione. Oggi si tende a riconsiderare la competizione come motore per andare incontro alle ambizioni. Si parla spesso di role models: ovvero persone che dobbiamo prenderci come punti di riferimento per raggiungere i nostri risultati. Lei ha un role model a cui si ispira? No, io non ho un role model, proprio perché non sono una persona competitiva. Penso che sia importante l’idea di competizione come forma di confronto, ma questo confronto deve essere soprattutto con noi stessi, non verso gli altri. Credo che per i giovani tutta questa competitività sia pericolosa, poiché speso vogliono assomigliare agli standard proposti dai media. Una società di questo tipo è malata, perché ci vuole tutti uniformi, mentre io sostengo che siano preziose le diversità.
È stata anche Mariella nella serie “Zodiaco”, un giallo in cui in vari punti sembra che nessuno possa essere al riparo dai sospetti. Come si fa a rendere l’ambiguità di un personaggio nel cinema o nel teatro? L’ambiguità del personaggio sta nel vedere le sue sfaccettature, il che è più facile nelle opere realistiche, poiché si ricercano persone verosimili. Infatti, ognuno di noi ha la sua dualità. I personaggi che funzionano di più in scena sono quelli che, da un momento all’altro, possono diventare ambigui, proprio in virtù della loro complessità psicologica.
Invece a teatro ha recitato in “Le notti bianche” di Dostoevskij, in cui l’incontro fra due anime infelici porta a riflettere sul senso da dare alla vita, se sia meglio vivere in un sogno oppure scontrarsi con la realtà. Al di là di come si evolverà la storia, spesso si incontrano persone che, anche se le vediamo solo quattro notti o ancora meno, hanno il potere di cambiare le nostre vite. Lei cosa pensa di questo? “Le notti bianche” è uno dei miei spettacoli preferiti, proprio perché rivedo molto di me in quell’opera, che tratta di due solitudini che si incontrano. Spesso di verificano incontri di questo tipo nella vita reale, per cui una persona, vista anche solo una volta, ci stravolge l’esistenza. Anch’io, come il protagonista de “Le notti bianche” sono una grande sognatrice e questo in tanti casi fa star male, ci fa scontrare con una realtà triste, che sembra tradire sempre le nostre idee. Penso però che, anche se spesso si viene sconfitti, ne valga la pena: a volte mi sento in sintonia con altre persone proprio a causa di un idealismo comune.
“Camera con vista” è uno dei suoi ultimi spettacoli, in cui è forte l’idea di una società repressiva. Il filosofo Marcuse sosteneva che si vive in una società dominata dal principio alienante della prestazione che deve essere spodestato dall’Eros, inteso come creatività, entusiasmo, voglia di vivere. Lei cosa pensa di questo: serve ancora oggi un’operazione di questo tipo? Assolutamente sì: va riscoperta la creatività che ciascuno ha dentro di sé. La chiave per ritrovare noi stessi può essere il ricercare la verità dei rapporti o il legame con la natura. In questo periodo siamo stati nascosti dietro a degli schermi e abbiamo fatto di necessità virtù. Ora, però, è giunto il momento di riappropriarci della nostra identità e di recuperare il rapporto con gli altri.
Ritornando ai sogni, c’è un personaggio che desidera interpretare? Mi piacerebbe molto fare Lady Macbeth: è un personaggio a tinte forti, che ha una personalità molto lontana dalla mia. Sarebbe una grande prova di attrice riuscire ad interpretarla. E poi non resisto mai a una scrittura così bella come quella di Shakespeare.
Qualche anno fa è venuta al Teatro Giotto di Vicchio per recitare in “Gl’innamorati” di Goldoni. Come si rapporta con la risata oscura dello scrittore settecentesco? Ho un grande amore per Goldoni, debuttai la prima volta a otto anni con una sua opera, “La schiava d’Oriente”. Da allora mi ci sono sempre sentita legata. Ho un ricordo meraviglioso di quell’esperienza: lavorare con Stefano Artissunch è davvero entusiasmante e coinvolgente. Come ho detto, amo le opere di Goldoni, poiché sono molto attuali: vi si ritrovano tutti i vizi umani.
Il doppiaggio è un’altra arte in cui lei si cimenta, essendo stata anche premiata di recente. Come si rapporta con un personaggio da dover condividere? Il doppiaggio è un’altra arte ed è quella che ho svolto di più in questi ultimi anni. È un lavoro diverso, ma non meno bello, poiché in quel caso ti affidi alla creatività dell’attore che ha interpretato il personaggio che vai a doppiare. Quindi ti senti unito al personaggio e all’attore al contempo: c’è un rapporto di comunione. Se ci pensiamo, è affascinante e forse è per questo che mi piace molto doppiare.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 giugno 2021