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UnderweARTheatre torna al Cimitero Germanico della Futa con “Salomè”

Posted On 13 Set 2023
By : Irene De Vito
Comment: 0
Tag: cimitero germanico della Futa, Firenzuola, Salomè, underweARTheatre

FIRENZUOLA – UnderweARTheatre torna a Firenzuola per la seconda volta nell’ambito del progetto “Teatro dell’Altrove” , dedito a portare il teatro fuori dai luoghi deputati.

Il progetto nella sua idea originaria nasce dal desiderio di “atterrare” in territori poco conosciuti, esplorarne il paesaggio naturale e umano, le tradizioni, le tracce della storia, attraverso un linguaggio artistico che si colloca fuori dal consueto luogo deputato, in un altrove. L’obiettivo è quello di indirizzare i partecipanti a guardare in modo inconsueto se stessi e la loro relazione con l’ambiente diverso che andranno visitando ed abitando. Dal punto di vista coreografico, si vuole tradurre questo intento, mantenendo la forza espressiva di queste alterità, nel linguaggio del teatro.

ll “Teatro dell’Altrove” è un metodo di popolamento artistico-performativo di spazi architettonici, urbani, paesaggistici. Nasce dalla convinzione che il teatro, nella sua concezione ritualistica e sacrale, che lo guida fin dai tempi più antichi (i riti dionisiaci grechi come riferimento) sia la forma più appassionante e coinvolgente per il ritrovo di una collettività in un luogo.

Al Cimitero Germanico della Futa, nel comune di Firenzuola, con una messinscena che alla magia dei luoghi abbina la musica dal vivo, il canto e la recitazione si vuole catapultare il pubblico nelle vicende della mitica principessa Salomè ai tempi di Gesù. Si narrerà del re Erode, del suo matrimonio incestuoso con la perfida Erodiade e di sua figlia Salomè, la più bella fra le donne dell’antichità che “perderà la testa” per un uomo, un profeta, l’annunciatore del messia, Giovanni il Battista….

Il profeta di una nuova religione è prigioniero nella cisterna del palazzo, ma le sue grida giungono fino al banchetto che il tetrarca Erode sta consumando con la sua corte. La principessa Salomè seduce il capitano delle guardie per vederlo e se ne innamora, ma respinta, danzerà per Erode affinché le porga la testa del profeta Giovanni il Battista su un piatto d’argento.

Dov’è ancora aperta la ferita dei caduti per la propria fede, dove la pietra incontra la natura, in quel confine tra morte e vita che unisce gli opposti del bene e del male si porteranno i personaggi descritti da Wilde, per un’opera umanamente ardita e contraddittoria, in un lungo canto alle passioni.

Sulla vicenda biblica, ambientata all’alba del cristianesimo, e sul culto del corpo come incarnazione di Dio, Oscar Wilde guarda alla vicenda di Salomè per dipingere in maniera magistrale il dramma umano dell’amore nella sua tragica impossibilità di trasfigurazione, l’amore che non può essere vissuto nella sua pienezza che nella conoscenza e perdita dell’oggetto amato, in quel mistero che, preludio della morte, è unico e irripetibile, perfino più grande del mistero della morte stessa. Con questa premessa abbiamo rappresentato la splendida prosa dello scrittore inglese dando vita ad una messa in scena festosa, ardita e contraddittoria per un lungo canto alle passioni umane e alle conseguenze dell’apparire delle cose, dello sguardo su di esse, alle conseguenze dei pensieri e delle azioni umane.

É una prerogativa dei grandi testi della letteratura universale con il loro selciato drammaturgico lasciare accesso a interpretazioni anche molto diverse, essere guardati e amati in modo perfino contradittorio. Anche nella Salomè, stante la perfetta descrizione del potere della passione, del cinismo della seduzione e dell’immutabilità della morale, tutte le volte che la rileggiamo, vi scorgiamo aspetti nuovi, sfumature inaspettate, visioni inedite come un rammarico di un’estasi incompiuta e sfuggevole che ci riempie e ci lascia assetati.

La maestria di Wilde è quella di far coesistere i personaggi con l’assenza del loro amore, Erode per Salomé, Salomé per Giovanni, Giovanni per Colui che Verrà, in una sorta di gioco di specchi dentro ad un’attesa messianica ma funesta, un’attesa che svuota la storia della sua stessa necessità, ed i personaggi della loro stessa memoria. Essi ci appaiono quasi senza epifania, dirottati soltanto dalla forza dei loro desideri che generano il cortocircuito di uno sguardo sullo sguardo, di un guardare la direzione del guardare e di un osservare l’apparire delle cose in forme e colori che trasporta verso una nostra interpretazione più intima, o quantomeno più interiore.

É il personaggio stesso che al principio si rivolge allo spettatore, in cerca, forse, di un conforto, nell’intento di voler giustificare il suo destino, attraverso il racconto segreto della sua vicenda personale, consegnando subito una manifestazione del suo essere. La storia invece di essere narrata, appare confessata dai protagonisti, in una memoria del sé che crea un piano parallelo fra tempo del ricordo e tempo della narrazione, ponendo le premesse per estendere il perimetro interpretativo ed aprire spiragli in cui cucire elementi di contemporaneità, addivenendo ad una vicenda teatrale in cui il sapore mitologico viene rivissuto nell’oggi, con curiosità e stupore.

© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 13 Settembre 2023

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