A PORTE CHIUSE – Agnese Nano: “Un ritorno alle piccole comunità”
BORGO SAN LORENZO – Quali sono i suggerimenti che gli artisti possono cogliere da questa pandemia? Quali temi sono da trattare ancora? Su questi interrogativi riflette Agnese Nano, attrice teatrale e cinematografica, che è stata diretta anche da grandi maestri quali Lavia e Tornatore. L’attrice pensa al rapporto con la natura come un possibile primo passo, inoltre racconta momenti importanti della sua notevole carriera. Quanto da lei rilasciato dà molti spunti per la ripartenza degli spettacoli e per ripensare le nuove forme di arte.
In alcuni suoi lavori, emerge una grande attenzione al contesto storico in cui avvengono le vicende, ad esempio in “Miracolo a Sant’Anna”. Come si può far emergere il valore della Storia nell’arte? Tramandare questo valore è possibile grazie alla sceneggiatura, poiché i riferimenti storici danno concretezza all’azione. “Miracolo a Sant’Anna” ha toccato un periodo storico che non è ancora stato metabolizzato. Gli storici hanno ragionato sul fatto che non è stata una guerra di liberazione, ma piuttosto una guerra civile. Nel dopoguerra, si è pensato allo Stato Italiano come generato dalla lotta partigiana, ma poi le cose sono state messe in discussione, il dibattito è tuttora attuale. Il film è tratto da un romanzo il cui autore era stato testimone dei racconti del nonno, che aveva partecipato agli scontri sulla Linea Gotica. Emergono molti elementi sui quali ancora c’è bisogno di soffermarci, anche da parte di chi si occupa di Storia, come la questione degli afroamericani, che erano considerati carne da macello.
È nota la sua interpretazione in “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore. Il personaggio di Elena fa trasparire tutta la freschezza del primo amore, i sogni e poi anche la malinconia. Ha fatto scelte particolari per interpretarla? Quello è stato il mio secondo film. Ero ancora molto ingenua, imparai che recitare ha un rapporto strettissimo con il gioco, ma il gioco come lo intendono i bambini, che hanno una serietà assoluta. Quel personaggio l’ho affrontato in modo molto naturale, grazie anche all’aiuto di Tornatore, che ha una forte sensibilità e un’enorme dolcezza. Elena è un personaggio archetipico, senza tempo, rappresenta l’amore sognato e mai consumato di ogni adolescente e da questo dipende la sua universalità. Persone da ogni parte del mondo si sono ritrovate in lei. Questo è merito di una buona scrittura, come ho detto prima. Paradossalmente, quanto più una sceneggiatura è curata ed ha attinenza con la realtà e dunque con il momento particolare, tanto più assume valore di universalità.
A proposito di questo film, la colonna sonora di Ennio Morricone dà un tocco magico a tutta l’opera. Potrebbe questa osservazione essere un punto di partenza per riflettere sul fatto che nella realizzazione di un film concorrano tante realtà più o meno visibili ma egualmente indispensabili? Il vero cinema è fatto da molte parti che cooperano, dallo sceneggiatore al tecnico delle luci, dai costumi alla musica. Inoltre, ci sono altre unità che aiutano anche dall’esterno, come la consulenza storica, che in “Nuovo Cinema Paradiso” è molto importante, il che si vede nelle scene che riguardano il comunismo, l’emigrazione, la fine del cinema. La colonna sonora di Morricone è immortale, lui componeva i temi prima, li faceva ascoltare durante il film e venivano incisi alla fine. Il fatto che ci fosse già la musica durante la realizzazione del film è stato fondamentale per coordinare il ritmo delle inquadrature. Nel momento in cui stavo girando quel film ho avuto veramente la percezione di fare qualcosa di bello e di importante.
Lei ha recitato anche nello spettacolo “Chi ha paura di Virginia Woolf” con Gabriele Lavia e Mariangela Melato. Questo testo viene ancora molto studiato da chi si occupa di pragmatica, in relazione alla difficoltà di comunicare. C’è dunque un messaggio da tenere sempre a mente? Quello spettacolo è stato molto importante per me, ho recitato in vari teatri, fra cui anche il Teatro della Pergola di Firenze, che è bellissimo, ha un’acustica perfetta. Quello era sicuramente un testo complesso, ci dice come i rapporti di coppia siano difficili. Si parla infatti della difficoltà di comunicare all’interno di una relazione amorosa. Lavia fece una scelta particolare: fece vestire le due coppie allo stesso modo, dunque le donne avevano lo stesso abito da sera e gli uomini lo stesso completo, in modo che la coppia più giovane fosse un alter ego di quella più attempata. Io recitavo la parte di una ragazza che aveva forti inibizioni dal punto di vista sessuale, viveva la sessualità come un incubo. Fra i tanti temi che davano preoccupazione alle due donne c’era quello della maternità negata, dell’impossibilità di procreare. Ognuno urlava la propria infelicità senza riuscire a comunicare veramente. Il testo è disperato, dopo la battuta di arresto finale, forse si percepisce la possibilità di ripartire.
Da come lei si pone, si nota un modo di parlare e di fare pulito e delicato. Questo è un atteggiamento inedito in un mondo dove spesso vince chi alza più la voce … Sì, è vero. Io trovo che la gentilezza sia completamente dimenticata. Per me non è una questione di forma: è anche di contenuto. Purtroppo non pensiamo mai a questo, poiché nel corso degli anni c’è stata una deriva verso il basso ventre.
In alcune sue opere emerge il valore della comunità, che è molto forte nel territorio del Mugello. L’arte potrebbe pensare ad un modo per valorizzare questi posti piccoli, ma dei quali c’è molto da dire? Indubbiamente queste zone vanno valorizzate. L’epidemia ha fatto emergere tutte le contraddizioni che da prima del 1800 hanno regnato soprattutto in Italia, poiché spesso si pensava solo al punto di vista commerciale. Le città erano diventate piene di ristoranti e negozi che non tenevano conto del bello che avevano intorno. La contraddizione stava anche nel fatto che, mentre si ricercava lo sfruttamento del posto, i turisti venivano trattati male, quasi fossero stati colpevoli del cambiamento. Ora le città si sono svuotate, nella scorsa primavera tutta quella bellezza non aveva più occhi che la guardassero. Questo deve farci riflettere sul modo in cui abbiamo pensato al nostro Paese. Già alcune città stanno ripensando a questo, a tutelare le opere d’arte e all’accoglienza dei turisti. Forse un ritorno a paesi piccoli, dove è forte il legame con la natura potrebbe essere un passo importante anche per gli artisti, che potrebbero sperimentare località più pulite, con meno contatti, anche se, magari, più forti. Forse questa potrebbe essere una soluzione.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 novembre 2020