A porte chiuse – Un processo per l’umanità: un parallelo tra Fabbri e la Pasqua in quarantena
BORGO SAN LORENZO – Si avvicina il giorno di Pasqua e, seguendo le disposizioni del DPCM, la passeremo stando in casa e ci fa paura lo spaesamento che non potremo evitare domenica, quando saremo portati, inevitabilmente, a confrontare quel giorno con quello dell’anno prima o di quello prima ancora: sappiamo che in quel momento ci accorgeremo ancora di più che qualcosa di serio sta accadendo. Le festività pasquali ricalcano un momento storico che, per credenti e non credenti, ha determinato una rivoluzione potente, forse la più grande che la Storia ci abbia suggerito, con la figura di Gesù di Nazareth. Gli artisti si sono da sempre scontrati con gli avvenimenti che ricordiamo in questa settimana, chi elogiandoli, chi criticandoli, chi commentandoli con distacco, chi prendendone le distanze e restando in osservazione. Diego Fabbri dal 1952 al 1954 scrive l’opera teatrale “Processo a Gesù”, che avrebbe anche dovuto essere rappresentata questo aprile al Teatro La Pergola di Firenze, ma è stata annullata per l’emergenza Covid19. Il testo di Fabbri racconta di una famiglia che si ripropone di inscenare in varie parti del mondo il processo a Gesù, tirando a sorte ciascun componente il personaggio da interpretare e provando a capire i motivi profondi che hanno permesso tale situazione drammatica. L’autore mette in bocca ai suoi personaggi una serie di pregiudizi, di stereotipi con cui vengono classificate intere categorie di persone, siano essi contro gli ebrei, contro i cristiani, i preti o le donne; si evidenzia quanto questo modo di considerare gli altri ci abbia sempre impedito di ragionare, di vedere chiaramente i fatti, senza lasciarci travolgere dalle emozioni. Il processo va avanti e ognuno “deve sostenere fino in fondo la sua parte”, come afferma colui al quale è spettato il ruolo di Caifa. I protagonisti si scontrano opponendo ai ragionamenti dei contemporanei di Gesù i loro problemi personali, il che li porta a capire che questi modi di agire sono universali e che si ripresentano ogniqualvolta vengono fatte delle ingiustizie. “Ci sono sempre i nemici di Gesù quando uccidi un innocente” dice Sara, la ragazza che più degli altri sente il peso di una rappresentazione così complessa. Tutti capiscono che le loro posizioni sulla vita di Gesù sono rimaste parziali: i preti non si rendono conto che, se davvero si fosse aderito al messaggio cristiano, tanti fatti di oggi non sarebbero permessi, il filosofo che dice “Dio è morto” non riesce a capire di quale stoffa sia fatto il mondo e l’intellettuale inizia a dire che nessuno possiede la verità. Sembra che non sia rimasto nulla di quel messaggio di pace di circa 2000 anni fa, però ciascuno sente che sono impressi negli uomini gli stessi sentimenti che albergavano negli animi dei contemporanei di Cristo: in molti si sentono come Giuda, dal protagonista che ha tradito l’amico fino ai preti che hanno tradito quel messaggio spirituale che tanto alacremente propugnano, la donna a cui hanno ucciso il figlio si sente vicina a Maria, la giovane innamorata si ritrova in Maddalena. Alla fine, viene detto che non esistono distinzioni, siamo tutti nella stessa barca, tutti abbiamo qualcosa per cui chiedere perdono. Le tracce della storia, come quelle della letteratura, sono impresse nella coscienza: abbiamo queste costanti dentro di noi, che, con Vico, ci riconosciamo “corsi e ricorsi storici”.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 7 aprile 2020