A PORTE CHIUSE – Paola Pitagora “La finzione può essere più vera della realtà”
BORGO SAN LORENZO – L’attrice Paola Pitagora, noto volto del mondo dello spettacolo italiano, offre una testimonianza vera e schietta di ciò che il teatro e il cinema hanno infuso in lei e della triste situazione che stiamo vivendo. Diretta da registi quali Comencini, Bolognini, Bellocchio, solo per citarne alcuni, è un’affermata attrice cinematografica, teatrale e televisiva, protagonista di numerosi sceneggiati, basti pensare a “I promessi Sposi” di Sandro Bolchi. Inoltre, la sua maestria non si ferma alla recitazione, poiché la Pitagora è anche scrittrice di successo. In questa intervista, lascia intendere come momenti del proprio vissuto si siano intrecciati con i suoi personaggi e come questo meriti di essere raccontato.
Lei si è impegnata in numerosi lavori. Uno di questi è il film “Senza sapere niente di lei” di Luigi Comencini, in cui interpreta una ragazza che viene riconosciuta colpevole di aver ucciso la madre, che le aveva chiesto di aiutarla a morire. Ad un certo punto lei pronuncia la frase “L’ho fatto quasi per pietà. Mi sembrava giusto”, che sono affermazioni molto forti, poiché riguardano un tema di cui ancora oggi si discute molto. Quale reazioni ha avuto questo film quando è uscito? È sicuramente passato tantissimo tempo da quel film, però ricordo che, nonostante trattasse di un tema suscettibile di discussione, fu molto ben accolto: io fui anche premiata. Il ricordo più bello che ho di questa esperienza è il rapporto che abbiamo avuto con Comencini, che era veramente un regista di talento e di grande sensibilità. Sapeva tirare fuori il meglio di noi, che lavorasse con gli attori, con le attrici o con i bambini. Con i più piccoli specialmente riusciva ad interagire con grande spontaneità.
In teatro, ha recitato in opere di Pirandello (come “La ragione degli altri”, “Diana e la tuda”…). Ultimamente questo autore è stato oggetto anche di discorsi politici, in cui è stata richiamata la contrapposizione fra maschere e volti, per parlare dell’importanza della verità dei rapporti. È possibile riscoprire questa verità e in che modo il teatro può aiutarci in questo? È difficile chiarire con poche parole il significato che può assumere il teatro in questo ambito. L’arte teatrale nasce tantissimo tempo fa ed è la prima realizzazione dell’inconscio umano, si può quasi dire che la psicanalisi sia nata nell’Antica Grecia. Il confrontarsi con una storia inventata è un fattore fondamentale per la crescita dell’individuo, dal momento che l’invenzione, certe volte, è più vera della realtà. Spesso per noi attori ci sono momenti di coincidenza fra ciò che recitiamo e ciò che viviamo. Questo non significa che dobbiamo essere uguali ai nostri personaggi. Ad esempio, nel caso di Pirandello, le sue donne sono tutte nevrotiche, il che non è augurabile alle attrici che le interpretano. Ma l’aver provato emozioni quantomeno simili nella vita ci aiuta nella rappresentazione e, viceversa, conoscere queste figure ci permette di affrontare il mondo reale. Il teatro è una componente importante della vita umana, anche se ultimamente non è molto considerato. Comunque tengo a precisare che non abbiamo il diritto di lamentarci in questo momento, soprattutto noi che siamo già stati vaccinati. Quando ho fatto il vaccino ho notato l’organizzazione perfetta del sistema sanitario in questo momento. Certamente, capisco anche la tristezza di molti artisti che stanno soffrendo, poiché è un anno che siamo fermi. Per quanto mi riguarda, sto cercando di impiegare il tempo in maniera produttiva: leggo, vedo molti film, non sono molto scoraggiata, anche se la situazione è particolare. Bisogna comprendere la delicatezza del momento, nonostante la frustrazione.
Ha interpretato anche Lucia Mondella nello sceneggiato RAI “I promessi sposi”. Spesso Lucia è considerata l’emblema della perfezione e, per questo, sembra che si presti meno alle analisi dei critici. In realtà, la sua Lucia lasciava trasparire tutta la verità e la forza di una donna, a volte presa anche dalle incertezze. Come si è preparata per interpretarla? Anch’io ero prevenuta su questo personaggio: sembrava non avere molti conflitti interni e quelli che si trovava a combattere erano prodotti dalle vicende della vita, imposte dagli altri. Mi sono completamente lasciata andare alle indicazioni di Sandro Bolchi, che voleva proprio che trasparisse questo tipo di verità: voleva che venisse fuori tutto l’inconscio di una donna che deve affrontare situazioni tremende. Bolchi voleva che rappresentassi una Lucia vincente, che è un po’ anche quello che voleva il Manzoni. Lucia, con la fede come unica arma, riesce a salvare l’Innominato, sposare il suo Renzo, guarire dalla peste, che, detto in questo periodo, fa un certo che. È una donna risoluta, che riesce a raggiungere i suoi obiettivi.
Ha anche preso parte al musical “Ciao Rudy” con Marcello Mastroianni. Che ricordo ha di questo lavoro? Se dovessi dare una definizione di questo lavoro direi che era “completo”. Erano presenti la recitazione, la danza, il canto, insomma un po’ tutte le arti dello spettacolo. E il cast era strepitoso, è stato semplicemente perfetto.
Lei ha lavorato anche in televisione, spesso si pensa alla fiction come qualcosa di leggero e di poco rilevante. Tuttavia, ci sono attori che mettono l’anima nella rappresentazione anche di un personaggio minore e, oltretutto, le serie televisive sono state oggetto di studio anche di antropologi e linguisti che hanno ritrovato i tipi fissi dell’epica negli sceneggiati. Quale pensa sia il valore di questi lavori? Penso che il valore delle serie televisive dipenda da come sono fatte. Alcune sono di scarsa qualità, proprio perché sono nate senza avere una storia dietro, per un puro calcolo produttivo. Mentre, in altre, i personaggi sono particolareggiati, basti pensare che, a volte, il rivedere il volto di un attore, ci fa immediatamente pensare al personaggio che ha interpretato in una determinata fiction. Io sono stata contenta di aver fatto anche questo tipo di esperienza, mi sono trovata bene con i registi e i colleghi.
Lei è anche scrittrice, ha scritto diversi libri, fra i quali “Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo”, in cui parla di avere avuto un maglione di angora verde, che poi ha considerato il simbolo della sua entrata del mondo. È frequente che oggetti di poco conto (biglietti del tram, cappotti smessi, quaderni…) abbiano in realtà una grande valenza estetica dal punto di vista affettivo. Ne ha altri di oggetti che richiamano momenti importanti della sua carriera? Il libro che lei ricorda parla della Roma artistica degli anni ’60. Ho molti oggetti che ricordano tappe fondamentali della mia carriera. Mi torna in mente che una volta feci una domanda simile a questa a Corrado Pani e lui mi disse che, come portafortuna, si portava sempre dietro una suola di scarpa, regalatogli da un collega. Non so quale fosse il significato, ma ciò è esemplificativo del fatto che tutti noi abbiamo degli oggetti che hanno una forte valenza affettiva. Io mi portavo sempre dietro un piccolo cavalluccio marino. Questo oggetto mi ha salvato la faccia.
Come mai? Un giorno ricevetti una notizia molto triste poco prima di andare in scena. In quel momento, non ricordavo niente di quello che avrei dovuto fare, avrei sbagliato anche a dire il mio nome. Poi ho preso in mano questo cavalluccio e mi è tornato in mente un esercizio che facevamo alla scuola di recitazione. Ci facevano prendere consapevolezza di un oggetto toccandolo, interagendoci, osservandolo attentamente. L’ho rifatto in quel momento e quell’attimo di concentrazione mi ha fatto ritrovare me stessa.
Noi viviamo nel Mugello. Quale spettacolo del suo repertorio porterebbe qua da noi, una volta terminata la pandemia? Non saprei… so però che siete privilegiati a vivere in una zona così bella e poco distante da Firenze, sono sicura che qualsiasi spettacolo andrebbe bene.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 marzo 2021