A PORTE CHIUSE – Ottavia Piccolo “Interpreto testi scritti domani”
BORGO SAN LORENZO – Ottavia Piccolo, attrice di indubbia fama, racconta alcune delle esperienze più significative della sua carriera. Vincitrice di molti premi, dal David di Donatello al Prix d’interprétation féminine di Cannes, ha recitato ruoli indimenticabili: Ersilia in Metello, Caterina nel Gattopardo, Lidia in Serafino, solo per citarne alcuni. È venuta al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo con la rappresentazione “L’arte del dubbio”, con il testo di Stefano Massini, autore al quale è molto legata.
È magistrale la sua interpretazione nel film “Metello”, di Bolognini, dove si ha uno spaccato della Firenze a cavallo fra il 1800 e il 1900, in cui emergono le sofferenze dei lavoratori. Tuttavia non ci si ferma a questo, poiché il loro tormento è fatto proprio anche dalle mogli, di cui Ersilia è un esempio. Come si è preparata per realizzare questo personaggio? Mamma mia (ride), ero giovanissima e ricordo che ero completamente impreparata. Era uno dei miei primi film ed ero un po’ intimorita, ma il regista ha saputo aiutarmi e incoraggiarmi proprio perché aveva una forte sensibilità, dovuta anche alla sua grande cultura e vasta conoscenza. Tutti coloro che hanno lavorato in quel set erano consapevoli dell’importanza di tale lavoro e si sono impegnati molto. Poi il film ha avuto successo e io ho vinto il premio per la miglior attrice a Cannes. Ha segnato la mia crescita, con “Metello” sono diventata adulta nel mio mestiere.
Invece, una delle sue prime interpretazioni è Helen Keller, la studentessa sordo-muda nell’opera “Anna dei miracoli”. Anche questo è un testo di spessore, visto che i metodi scelti dall’istitutrice sono tuttora oggetto di studio degli epistemologi. Come si è messa alla prova nell’interpretazione di un ruolo così complesso? Quando ho interpretato Helen Keller avevo undici anni, allora non potevo rendermi conto della grandezza del testo. Sapevo soltanto che era una storia bella e la presi come un gioco. Facevo quello che mi dicevano senza pormi domande. Ricordo però che c’era un po’ di sconcerto perché a quei tempi non si parlava molto di handicap e molti avevano paura che fosse una storia strappalacrime. La regia tolse questo dubbio. A quei tempi non si riprendevano gli spettacoli, quindi io non ho idea di come sia stato, so solo che è piaciuto. Quando hanno pensato di fare l’adattamento televisivo il cast era pressoché lo stesso ad eccezione di me: ero cresciuta e non potevo più interpretare Helen. Ho solo qualche foto di questa esperienza, non nego che un po’ mi dispiace.
Sta invece preparando lo spettacolo “Eichmann”, basato sul testo di Stefano Massini, in cui viene proposto uno scambio fra il nazista e la filosofa Hannah Arendt, autrice de “La banalità del male”. Secondo lei, c’è ancora oggi un male “banale” che permea la società? Sicuramente. Il prezioso libro di Hannah Arendt ci dice quanto il male sia dentro di noi. Massini, con questo testo, vuole proprio capire cosa faccia scattare quella leva che trasforma gli esseri umani in mostri. Si interroga su cosa faccia diventare uno dei responsabili della Shoah in un piccolo impiegato senza alcunché di spaventoso. Questa è la domanda di tutti noi ed è sempre valida, poiché l’essere umano è sempre lo stesso.
Lei ha portato al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo “L’arte del dubbio”, sempre di Massini, che riprende l’opera di Gianrico Carofiglio. Quest’arte di dubitare è necessaria oggi? Quello spettacolo era particolare, la drammaturgia era intelligente e satirica. Però io non dubiterei sempre: in teatro, ad esempio, sono molto legata al testo e mi fido delle indicazioni della regia.
Lei coniuga spesso impegno civile e arte, non avendo paura di esporsi. Quali considerazioni sono alla base di questa scelta? La considerazione principale è che io non so scrivere, mentre Massini sì (ride) e quindi mi adagio sui suoi scritti. Ultimamente, appena leggo un suo testo me ne innamoro. I miei ultimi otto spettacoli sono opere sue. Sono legata a lui come Marta Abba lo era a Pirandello.
E perché proprio Massini? Perché scrive libri che esprimono idee che ho anch’io. Dice quello che io penso da sempre.
Questo tipo di impegno riguarda anche uno dei suoi ultimi lavori al cinema, “7 minuti”, diretto da Michele Placido… Sì e anche quello è opera di Massini. Appena me l’ha proposto, l’ho letto e ho risposto “Subito!”. Prima l’abbiamo fatto in teatro, con la regia di Alessandro Gassmann. Poi è stato fatto il film. Questa volta tutto il cast era cambiato, mentre io ero rimasta. L’ambito era diverso, ma la sceneggiatura reggeva ugualmente. Sembra scritto domani, non oggi, perché il problema dell’erosione dei diritti dei lavoratori ce l’abbiamo davanti agli occhi e sarà una preoccupazione sempre più grande. Questi testi riprendono problemi molto attuali. Un’altra opera di Massini che dice molto sull’oggi è “Processo a Dio”, che parla appunto di un processo che si immagina venga fatto a Dio dopo la Shoah. Riguarda un periodo storico, ma non è storicizzato, è scritto per noi che viviamo ora.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 dicembre 2020