A PORTE CHIUSE – Mariangela D’Abbraccio “L’imprevisto è lo stimolo alla crescita”
BORGO SAN LORENZO – I teatri stanno riaprendo. Questo periodo di chiusura ha portato riflessioni? La sofferenza è servita? A questi e a molti altri interrogativi risponde Mariangela D’Abbraccio, attrice di cinema e teatro, celebre per le sue interpretazioni nei film “Tu mi turbi” di Benigni, “L’uomo privato” di Greco e in diversi spettacoli, sotto la regia di Eduardo De Filippo, Liliana Cavani, Francesco Tavassi, Pier Luigi Pizzi e molti altri. Con schiettezza e coraggio, la D’Abbraccio esplora questioni attuali e non, lasciando un’idea puntale del ruolo degli artisti nel nostro tempo.
Lei ha portato in scena “Camille Claudel” sul testo di Dacia Maraini, che ha voluto rendere la forza tormentata di una scultrice che è stata definita un genio maledetto al femminile. La Parigi della prima metà del 1900 pullulava di artisti che ricercavano la purezza della vita staccandosi da una società consumista. Lei crede che esistano ancora oggi delle figure di questo tipo oppure che siano ormai tramontate e che non possano neanche ripresentarsi? Io penso che la situazione di Camille Claudel sia stata estrema in quel contesto, in virtù del suo essere donna e del suo dedicarsi ad un mestiere che era considerato ad appannaggio esclusivo degli uomini. Per questo, anche in seguito all’incontro con Rodin, che è stato benedetto e maledetto al contempo, si è trovata costretta a combattere numerose battaglie, che non sono poi così diverse da quelle che molte donne combattono oggi. Anche se per alcuni versi sono lotte differenti, hanno dei punti in comune: in particolar modo l’idea che non tutti i ruoli possono essere ricoperti dalle donne. Mi riferisco soprattutto ai ruoli di potere, dove le donne non sono rappresentate. Anche nel nostro settore è così: ad esempio, poche donne sono direttrici di teatri stabili. La parità è un concetto troppo lontano, magari non rischiamo più di finire in manicomio in quanto scomode, come è accaduto a Camille, ma veniamo ostacolate in altri modi. Quindi non siamo poi così lontani da quel tempo.
A tal proposito, ha dato voce al monologo del cortometraggio “Il Paese dagli sguardi negati” , in cui si dice anche che i responsabili delle violenze sono incoronati. Si parla di un Paese ingiusto, come l’Italia di oggi, in cui anche il dare alla donna la possibilità di rappresentanza politica viene avvertito come una fissazione. La stessa Dacia Maraini ha detto che con l’aumento dei diritti delle donne, è aumentata anche la violenza. Secondo lei, si può quindi parlare di un passaggio dal Paese degli sguardi negati al Paese degli sguardi “superati”? Sì, credo proprio che si possa parlare di un voler ignorare il problema, pur conoscendolo e quindi di un’attenzione che non viene più considerata, superata appunto. Credo anche, però, che le nostre voci siano più forti e quindi difficilmente nascondibili. Il mondo, per poter andare avanti bene, deve essere sia degli uomini che delle donne: un mondo a metà. Potremmo pensare che tutto si debba basare sulla famiglia tradizionalmente intesa: per renderla tale serve un contributo maschile e uno femminile, che comunque si trova spesso anche in altri tipi di famiglie.
Infatti lo psicanalista Massimo Recalcati sostiene che c’è una sensibilità maschile e una femminile in ogni tipo di famiglia… Lo penso anch’io: anche in una famiglia composta da due donne ci sarà una parte che associamo più al genere maschile. Eliminare le donne dalla società, come sta accadendo ora, è una violenza alla natura. Se davvero volessimo un mondo che contemplasse solo un genere, perché ci scandalizzeremmo tanto davanti alle nuove modalità di famiglia? Se ci pensiamo, è un controsenso. Inoltre, possiamo constatare che la gestione di tutto al maschile non ha mai portato buoni risultati.
Ha anche recitato nel film “La forza del passato”, in cui un figlio scopre che il padre defunto era una spia russa. Questo segna il suo venir meno delle certezze, che però è motivo di una nuova forza. Crede anche lei che spesso quello che appare come evento sconcertante possa aprire nuove strade? Certo, avviene sempre così. I nuovi eventi ti spingono a cambiare: lo stimolo di crescita viene sempre dall’imprevisto, che ci proietta nel futuro, anche se a volte serve la sofferenza. Per noi attori l’imprevisto è prezioso, perché ci permette di sperimentare, di andare in cerca del nuovo.
Lei inoltre ha preso parte a “La strana coppia”, spettacolo rispetto al quale il regista ha detto che voi attrici avete preso parte in modo naturale proprio in virtù del vostro continuo scandagliare e a entrare dentro il personaggio. Cosa vuol dire per lei entrare dentro il personaggio? Non lo saprei dire… per me recitare è una sorta di viaggio verso l’autore. Molti dei miei colleghi dicono che il personaggio non esiste e, per certi versi, può essere vero. Ad esempio, sono certa che la mia Blanche in “Un tram che si chiama Desiderio” è diversa da ogni altra Blanche e in questo sta anche la bellezza del nostro mestiere: plasmare il personaggio secondo la nostra sensibilità. Però non direi che il personaggio non esista: c’è sempre una traccia, un qualcosa di precostituito che ti fa andare in cerca dell’autore. A me piace chiedermi le ragioni per cui il drammaturgo ha ideato quelle opere, poiché so che le battute che dobbiamo imparare sono dei pretesti usati dallo scrittore per far uscire qualcos’altro.
Ha lavorato con Albertazzi. “Gli angeli del potere” è un’opera, in cui, durante la Primavera di Praga, un’attrice coinvolta è spinta al suicidio dagli angeli che incarnano il potere. Oggi come potrebbe un’attrice sfidare il potere? Oggi, facendo teatro, si sfida sempre il potere poiché questo è lontano dall’Arte. Solo la televisione, fra i mezzi delle arti performative, è in sintonia con il potere: ogni arte che non passi attraverso il piccolo schermo è rivoluzione. Io penso che attrici, attori, pittrici, ballerini, musicisti e tutti coloro si impegnano nella cultura siano rivoluzionari.
Noi siamo del Mugello, zona in cui non ci sono teatro nazionali, ma teatri più piccoli che, forse, soffriranno molto la crisi. Come si rapporta con i piccoli teatri di paese? La nostra Nazione vive dei teatri più piccoli di provincia. Le province sono la linfa vitale della cultura del Paese. Sono questi teatri che hanno fatto la Storia e che hanno permesso la nascita del teatro di giro che ha unificato le regioni. Sono l’espressione profonda della libertà: hanno permesso alle compagnie di girare e, così facendo, hanno fatto vivere l’Arte, che è sempre liberatoria.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 giugno 2021