A porte chiuse – I giorni dell’attesa: il tempo che fugge e il tempo che resta
BORGO SAN LORENZO – In un momento di comuni preoccupazioni quale quello che stiamo vivendo, è unanime un impegno che non si esime dal domandarsi se quanto facciamo sia sufficiente, se sia utile e quanto ci vorrà per avere qualche risultato. Pur trattandosi di un sacrificio minimo rispetto a quello richiesto alle persone che lavorano in strutture sanitarie, noi seguiamo le norme di questa quarantena, che ci porta ad avere in abbondanza quella cosa che più di tutte ci manca nella vita normale: il tempo. Come tutti, anche i maggiori protagonisti della scena teatrale italiana sono chiamati a confrontarsi circa il valore di questo. Gli attori, pressati da ritmi e scadenze serrate per cui la pausa sigaretta è in molti casi l’unico momento di sacro riposo, si confrontano con questa dilatazione temporale che li costringe ad allontanarsi da uno stile di vita che non prevede tempi morti. Vinicio Marchioni ha detto a La Stampa che sta riscoprendo l’arte dell’attesa: infatti, dopo i lunghi tour teatrali, si sta dedicando allo studio e alla lettura. Marchioni consiglia ai giovani di usare questo periodo per guardare i film di Scola e a tutti noi di riscoprire le cose che più profondamente ci appartengono. Un’analisi su questo periodo è stata richiesta da Radio3 anche all’attore Fabrizio Gifuni, il quale lo ha definito “un tempo molto particolare, associato alla tragedia ben presente soprattutto in alcune zone del nostro Paese”. “È un tempo” ha dichiarato Gifuni “da un lato sospeso e lungo, che siamo costretti ad abitare e a vivere nel presente. Questo tempo in alcuni momenti rallenta tantissimo, ma a volte accelera fino a diventare veloce: questo accade soprattutto nei momenti di pensare. Io ho l’impressione che spesso passi in maniera rapidissima”. Gifuni e Marchioni ci mettono in guardia dal far passare questo tempo in maniera sterile, perché i momenti più produttivi sono quelli di studio e di riflessione, che però vengono meno soprattutto quando non si considera la loro importanza. Siamo abituati a pensare che quello che facciamo oggi possa essere rimandato a domani, domani che non abbiamo da correre a lavoro, domani che non dobbiamo truccarci la mattina, domani che abbiamo tutto il pomeriggio da poter passare su un divano. Ma il tempo non si recupera, questo fugge, anche quando desideriamo che se ne vada e nessuno ce lo può rendere. È la difficoltà che dobbiamo fronteggiare nell’epoca della velocità. Il teatro ha sempre dovuto fare i conti con questo: si resiste se lo spettacolo attira l’attenzione e se il tempo di durata è discreto, ma poi non ci possiamo concedere di trascorrere la nostra giornata in maniera apparentemente non produttiva. La compagnia teatrale I Sotterraneo ha spesso rappresentato opere i cui ritmi dovevano volare e incentrate proprio sull’incapacità di mantenere l’attenzione viva. L’attore Woody Neri, in un’intervista rilasciata questo inverno al nostro giornale, pur astenendosi da dare un giudizio, ha detto che dobbiamo scontrarci con il fatto che oggi siamo abituati ad avere tutto nell’immediato. Da questo dipendono una serie di disturbi dell’attenzione e il teatro deve scontrarsi con questo tipo di pubblico e trovare la modalità per creare tensione, con dinamiche veloci. A questo punto, dopo il freno dei nostri giorni, che ci ha dimostrato che siamo incapaci di fermarci anche quando il tempo c’è, quale saranno le sorti del teatro dopo i tempi del Coronavirus? Forse dovremmo raccogliere l’invito di Marchioni e leggere, incrementare la cultura, far respirare la coscienza, farci delle idee forti e sane, per poter apprezzare domani le opere teatrali in tutta la loro distensione, perché, come dice Victor Hugo, si possono fermare le malattie, gli eserciti, ma non si fermerà mai la forza di un’idea!
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 marzo 2020
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