A PORTE CHIUSE – Anita Zagaria “Gli attori devono dare voce ai deboli”
BORGO SAN LORENZO – Si potrebbe ormai dire “A porte aperte”, ma vista la difficoltà del mondo dello spettacolo a riprendere dopo questo periodo buio, continuiamo a pensarle chiuse non in quanto non più apribili, ma proprio per riflettere sugli effetti che questa pandemia ha avuto in ambito artistico. Anita Zagaria, attrice cinematografica e televisiva, che ha partecipato a opere come “La scuola” di Lucchetti o “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore e in fiction quali “La piovra” e “Il medico in famiglia”, sostiene con convinzione la possibilità di rinascita da questo periodo triste per le forme artistiche.
Lei è attrice di teatro. Ha recitato in opere di Checov (come “L’orso” e “La proposta di matrimonio”), autore famoso per lo sguardo di sconforto che getta sulla realtà, che è sempre però accompagnato da una forte speranza di un nuovo domani. In molti drammi dello scrittore russo, il primo passo per l’apertura ad un avvenire felice si ha con l’accettazione della realtà. Questa idea può essere riproposta ancora oggi, anche dagli artisti, poiché spesso si tende a pensare a cosa avremmo potuto fare se la pandemia non ci fosse stata piuttosto che a come potremmo agire in questo frangente? Io penso che tutto dipenda dallo sguardo che si dà alle situazione. Pensiamo all’etimologia della parola crisi: in Greco significa “cambiamento”, che può essere sia negativo sia in positivo, dipende dalla piega che gli diamo. “La proposta di matrimonio” è una commedia basata su un equivoco, che porta alla discussione i due protagonisti. Spesso infatti l’interpretazione del cambiamento fa paura, cerchiamo di fare di tutto per proseguire in una vita tranquilla, anche se la situazione contingente può insegnarci molto. In questo periodo da parte di noi attori c’è molto risentimento, perché tanti sono rimasti fermi. Nell’ambito televisivo e cinematografico è stato possibile lavorare, il teatro purtroppo è stato costretto a fermarsi, forse da questa crisi però potrà rinascere qualcosa di bello.
Nel corso della sua carriera ha anche interpretato Liliana Ferraro nella serie su Giovanni Falcone. Si dice spesso che Falcone sia stato ucciso due volte: prima con le calunnie e poi con l’esplosione. Che ruolo può giocare il mondo dello spettacolo nella diffusione delle idee di queste persone eccelse che in vari casi sono state viste come troppo scomode e dunque isolate? Questo dipende anche da quanto materiale storico si ha e quanto si può essere onesti nel rappresentare opere che vertono su fatti realmente accaduti. Per parlare di fatti di mafia, sia nell’arte che nella vita comune, purtroppo non si hanno ancora tanti elementi, poiché diversi fatti sono ancora taciuti, connivenze consolidate che sono difficili da scovare, poiché il potere protegge sempre se stesso. Si sente molta responsabilità nel recitare in questo tipo di film: sicuramente, il rischio più grosso è stato corso dalle persone che, come Falcone e Borsellino, hanno combattuto in prima persona, ma come attore ti senti più importante nell’impersonare questi pilastri del nostro Paese. Ciò non significa che l’attore si debba sentire responsabile solamente quando lavora nei film impegnati, anche attraverso film o fiction di intrattenimento puoi aiutare le persone. Ricordo che, durante la pandemia, una signora mi scrisse per dirmi che aveva rivisto una serie in cui avevo recitato e che la leggerezza di quelle puntate le aveva dato conforto. Questo mi ha fatto piacere, poiché mi ho capito che l’attore non entra solamente nella psicologia del personaggio ma anche in quella dello spettatore ed è bellissimo.
Un film in cui si è cimentata è “La corsa dell’innocente”, dove un bambino appartenente a una famiglia che collabora con la ‘ndrangheta, una volta rimasti uccisi i genitori in uno scontro, decide di andare a ricercare i familiari di un bambino che era stato ucciso dall’organizzazione mafiosa. Spesso però purtroppo i bambini provenienti da queste famiglie restano inglobati nel meccanismo della malavita. Opere come questa ci permettono di riflettere su un fenomeno che, purtroppo, è ancora molto diffuso? I figli dei delinquenti sono innocenti nel loro non avere scelta, vivono in una realtà diversa dalla nostra, per cui non conoscono né la legge né la giustizia. L’istruzione è fondamentale per permettere a questi ragazzi di venire fuori da quel contesto. Ovviamente, anche l’Arte può giocare un ruolo rilevante, producendo opere che denuncino queste situazioni. Uno dei miei registi preferiti è Ken Loach, che affronta temi sociali con un forte realismo, esprimendo tutta la sua disapprovazione per comportamenti quali lo sfruttamento, le disuguaglianze e tutti i tipi di ingiustizia. Dopo aver visto un film come “Sorry we missed you”, che denuncia lo stress dei lavoratori di Amazon, sei costretto a riflettere su questi temi, non puoi non farlo. Spesso ci dimentichiamo degli ultimi, anche noi artisti in molti casi siamo lontani dalle persone che soffrono la disoccupazione o le violenze. Penso però che serva un’attenzione maggiore da parte nostra: dare voci ai deboli con l’onestà artistica, raccontare il dolore è il nostro compito.
Si è anche impegnata nel film “Liberi”. Oggi sulla libertà si discute molto, spesso però quella che si ricerca è la libertà da noi stessi. Quale tipo di libertà si prospetta in questo film e quale invece è più utile oggi? In “Liberi”, tutti cercano la libertà. Io interpreto il ruolo di Paola, una donna che vuole uscire da una vita deprimente, che la costringe a rimanere accanto a un marito che la vuole opprimere. Anche i protagonisti, interpretati da Elio Germano e Nicole Grimaudo, vogliono liberarsi da tutto ciò che li frena nella realizzazione dei propri sogni. A volte è proprio il sentirsi costretti che ci dà il coraggio per essere liberi. È difficile dare una definizione di libertà ed è complicato anche ricordare situazioni in cui ci si sia sentiti liberi. Spesso, per vivere in una società ordinata, ci sono principi che prevalgono anche su quello della libertà, penso ad esempio al senso del dovere che, a volte, deve prevalere.
Un altro suo lavoro è “Concorrenza sleale” di Ettore Scola. Che ricordo ha di quell’esperienza e quanto è secondo lei il valore dell’ironia che poi prende una piega amara? Quel film è stato importante per far capire quanto a volte si smetta di ragionare per omologarsi alla massa, come è successo quando sono state promulgate le leggi razziali. Lo spirito critico è fondamentale per trovare il coraggio di cercare la verità. Ettore Scola sapeva far interiorizzare il tema a noi attori. Ricordo anche che quel set era bellissimo, proprio perché c’erano mezzi a sufficienza per poter curare tutti i dettagli. Oggi si pensa che si possa fare cinema anche con un budget scarso, purtroppo a volte la differenza si vede.
Ha recitato anche in “Sotto il sole di Toscana”. Noi siamo del Mugello, i colori delle nostre terre quali sensazioni le suscitano? Quella è stata un’esperienza bellissima, perché mi ha fatto conoscere alcune zone della Toscana. Purtroppo abbiamo girato la maggior parte delle scene al chiuso, ma ricordo che un giorno in cui non recitavo sono andata a giro per la Toscana con il mio amico Roberto Nobile. Abbiamo passeggiato per queste zone caratteristiche. Penso che non si possa discutere sulla bellezza della campagna toscana.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 giugno 2021