A porte chiuse – Il copione teatrale: seccatura o privilegio per l’attore?
BORGO SAN LORENZO – Ogni attore, nella preparazione di uno spettacolo, si scontra con il copione quale temuto strumento da memorizzare. Il dover fare memoria è spesso un passaggio ostico, affrontato da alcuni con più difficoltà, meno da altri (ricordiamo con orgoglio italiano il grande Vittorio Gassman che riusciva a ricordare paginate intere dopo aver dato solo uno sguardo). Il passaggio dal canovaccio al copione, determinato soprattutto dalla riforma di Goldoni, portò una svolta nel mondo del teatro. Ci si chiede quanto questa abbia influito nel ruolo dell’attore. Sembra che da questo momento nasca la dignità dell’artista che, trovandosi davanti un testo letterario, deve impararlo, ma anche interiorizzarlo e farlo proprio, anziché muoversi esclusivamente di improvvisazione ricavata da un canovaccio. Il copione, quel plico di fogli alto, stropicciato e denso di appunti, è fonte della personalità attoriale. Il filosofo statunitense Nelson Goodman rintraccia nel copione una doppia valenza: da un lato può essere considerato uno strumento, dall’altro non possiamo tralasciare il suo valore artistico. Si tratta di un mezzo funzionale all’opera intesa come spettacolo, ma è anche un’opera d’arte in sé per sé. Un testo teatrale può essere letto non per forza nella funzione di copione, cambierà solamente il valore delle note di regia: non indicheranno dei movimenti che il lettore dovrà mettere in atto ma lo aiuteranno a figurarsi la scena. Ognuno di noi, non essendo per forza un attore, può comprendere la profondità di un Goethe o la forza di un Brecht, solo lasciandosi trasportare da una serie di parole stampate su carta. Ma, tornando all’attore, come può tutto questo influire nel suo lavoro e nella sua interiorità? Sicuramente dovrà pensare al grande privilegio che si ritrova nel dar vita ad un’opera letteraria, a sviscerarla, ad assaporarne ogni suo rigo e a far emergere un personaggio che esiste sia indipendentemente da sé sia legato in maniera indissolubile al suo essere. L’opera teatrale, già viva di per sé, trova nell’attore il nutrimento, quello che le permette di sbocciare, di venire al mondo in tutta la sua grandezza. Oltre al privilegio, l’interprete deve pensare anche alla grande responsabilità che ha davanti nell’entrare in un personaggio che qualcuno ha egregiamente descritto. Si rintraccia, fra attore e copione, un legame molto forte, per cui l’uno dipende dall’altro: il primo non può fare a meno del secondo e questo, pur esistendo di per sé, chiede all’interprete la propria persona per raggiungere un certo livello di concretezza.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 aprile 2020
Pingback: Il Filo del Mugello » Il copione teatrale: seccatura o privilegio per l’attore?