RECENSIONI – Irene Barbugli sul palco del teatro Giotto di Vicchio con “Severino”
“In mezzo a quelle rose
Ci sono tante spine
Memorie dolorose
Di chi ha voluto bene
Son pagine già chiuse
Con la parola fine” .
VICCHIO – Sabato 13 novembre, al Teatro Giotto di Vicchio è andata in scena la pièce “Severino”, una drammaturgia scritta, diretta e interpretata da Irene Barbugli, con l’aiuto al testo di Lorenzo Cionfi.
Era l’anno 1951 quando si svolgeva la prima edizione del Festival di Sanremo, un evento canoro che diventerà famoso in tutto il mondo. Mentre, in quello stesso anno, il paese di Vicchio passerà alle cronache per l’atroce delitto di Severino Bonini, avvenuto l’11 aprile nei boschi della Tassinaia.Il sipario si apre con una balla sul palcoscenico. Una donna visibilmente triste entra in scena con una rosa rossa in braccio e, mentre si incammina verso quel sacco, ve la posa sopra: il suo nome è Elvira. La signora racconta di essere sposata con Pietro Bonini e di avere otto figli, più due che sono morti, avuti in un lasso di tempo di tredici anni. Il primogenito è Olinto; poi Averardo, detto Gaglio, Atanasio detto Nello o anche Donnicciola, inoltre c’è Luigi detto Mario, mentre Maria è chiamata Nunziatina (“purtroppo, pur non capendone il motivo, nessuno ti chiama con il proprio nome!”); ci sono anche Caterina e Assuntina. Infine c’è lui, Severino, il più bello di tutti. Severino è un uomo galante e affascinante e benché ormai abbia quarant’anni non si è ancora sposato e vive in casa dei genitori in località Cuccino. Figlio di contadini, ha scelto di fare il cenciaiolo, un lavoro che lo porta ogni giorno a girare di cascina in cascina per comprare stracci vecchi e pelli di coniglio.
Quell’infausto 11 aprile, Severino parte da Cuccino per il suo consueto giro di lavoro che lo avrebbe portato fino a Poggiosecco. Ma a Poggiosecco non ci arriverà mai e da quel giorno non farà più ritorno a casa. La mattina successiva scatta la denuncia di scomparsa e ben presto i suoi fratelli vengono a sapere che il giorno prima Severino ha pranzato a casa dello Scarpi in località Casanova, dove vive anche una graziosa diciassettenne dal nome Miranda. Accorsi sul posto, i fratelli chiedono informazioni di Severino allo Scarpi, che conferma il pranzo, ma non sa dove possa essere andato una volta uscito di casa. Miranda, invece, dice di averlo visto che si avviava verso il bosco mentre lei portava le pecore al pascolo. Miranda però non regge alle pressioni dei fratelli Bonini e, alla fine con un pianto liberatorio, confessa di aver avuto il giorno prima un rapporto carnale con Severino e di essere stata scoperta sul fatto dal suo fidanzato, Pietro Pacciani, che, uscito da dietro un cespuglio, lo aveva ucciso. Il Pacciani negherà tutto e solo dopo essere venuto a conoscenza della confessione di Miranda confesserà il delitto, giustificandosi di essere stato preso da un raptus di gelosia.
Pietro Pacciani è già noto in Mugello per il suo temperamento rissoso e violento, sempre pronto a esibire quel suo inseparabile amico: il coltello. Conosciuto come il Vampa, poiché “avvampava” facilmente, si narra che un giorno abbia preso con la forza suo padre e lo abbia messo a sedere sul piano rovente della stufa a legna. Inoltre, in una sala da ballo di Villore, preso da un attacco d’ira per aver avuto un rifiuto a ballare da una fanciulla, tirò a questa una “carcagnata” su di un piede affinché non potesse più ballare con nessun altro.
Il corpo senza vita di Severino Bonini verrà ritrovato il giorno dopo, martoriato, con i pantaloni abbottonati e derubato del suo portafoglio, nei boschi della Tassinaia, poco distante da casa di Miranda.
Al processo, il Pacciani dirà che fu Miranda ad incitarlo a uccidere Severino, poiché essa urlava che l’uomo stava abusando di lei con la forza. Miranda replicherà di avergli detto soltanto di picchiarlo.
Durante il processo, la Corte si era spostata a Cellavecchia per ascoltare le testimonianze di coloro che non avevano i mezzi per andare a Firenze. La mamma di Severino in quella occasione si era espressa così: “per fargli pagare quello che hanno fatto a mio figlio, bisognerebbe staccargli un pezzetto di carne al giorno…”
Il processo stabilirà la colpevolezza del Pacciani e di Miranda, i quali verranno condannati rispettivamente a 22 e 10 anni di carcere. Ma al processo, Pietro Pacciani è assistito dall’avvocato difensore Dante Ricci, conosciuto in tempo di guerra sul Monte Giovi qualche anno prima, durante una rappresaglia tedesca. In quella azione, il Ricci era rimasto ferito e Pacciani gli aveva salvato la vita. Forse, grazie anche allo stretto rapporto con questo “principe del foro”, al Pacciani verranno tolti alcuni capi d’imputazione e alla fine sconterà una pena di soli tredici anni, mentre Miranda ne sconterà cinque.
Eccezionale l’interpretazione di Irene Barbugli che coniuga, in maniera esemplare, gestualità e gioco vocale. Con una dizione modulata e scandita passando a un’altra in puro vernacolo, esclusiva delle campagne di Vicchio, è riuscita a dar voce ai personaggi che hanno raccontato questa storia (Elvira, Nunziatina, Graziella e Miranda) in maniera eccellente. Il palcoscenico, benché in scena ci siano solo oggetti essenziali, non viene mai percepito come vuoto. Irene lo occupa con nonchalance dimostrando di saper sostenere un lavoro interamente incentrato sulla parola e sul corpo, riempiendo lo spazio con la sua immaginazione.
Credo che l’attrice abbia fatto del linguaggio teatrale un mezzo per aiutare a curare le ferite e rendere utile questo dolore.
Lo spettacolo è stato a lungo applaudito e da indiscrezioni pare che a breve sarà replicato. Per chi non abbia partecipato questa sera, si presenta una buona opportunità, poiché la vicenda legata a Pietro Pacciani non debba cadere nell’oblio, anche alla luce della catena dei delitti che ne sono conseguiti nelle campagne fiorentine e dei suoi relativi punti oscuri.
Irene, che era entrata in scena con una rosa rossa in braccio, alla fine dello spettacolo ha lanciato il fiore in sala. Un gesto simbolico per ringraziare il pubblico. A prendere quella rosa è stato suo padre Severino: “Perché le parole si perdono, ma la storia rimane lì”.
Lo spettacolo è stato organizzato dalla Pro Loco di Vicchio, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale. Datore luci Gianni Del Chiappa, foto Benedetta Guidi.
Carla Gabellini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 Novembre 2021