RECENSIONE – Un autunno di fuoco: la bellezza nella disgregazione
Quello che non voglio perdere è me: quello che il tempo mi sta portando via!
BORGO SAN LORENZO – Milena Vukotic e Maximilian Nisi sono stati i protagonisti di “Un autunno di fuoco”, al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo giovedì 16 gennaio 2020. Gli spettatori si sono trovati immersi in una situazione alquanto eccentrica: un ritrovamento fra madre e figlio in cui quest’ultimo, per raggiungere la donna segregata in casa, decide di arrampicarsi sull’albero per entrare dalla finestra. Alexandra è una donna sola, che i figli vogliono convincere a lasciare la sua casa, a cui lei vuole dare fuoco, pur di non abbandonarla. Dall’atipico siamo passati improvvisamente al familiare e conosciuto: alle difficili relazioni con i genitori rispetto alle quali vengono nutriti spesso sentimenti di colpa o disagio. I battibecchi fra il figlio andato a vivere lontano e la madre determinata a voler morire hanno marcato la loro somiglianza, il loro non conformarsi ad una vita lontano dall’arte, nonostante il voler vivere appieno spesso porti dolore. Il ragazzo che ha più sofferto per il comportamento particolare della madre è in realtà quello che più la capisce, si sente unito a lei dall’arte, perché l’arte è vita vera.
Ciò che ferisce maggiormente un genitore è vedere il figlio compiere gli stessi sbagli, in virtù dei valori inculcatogli in tenera età, come ha affermato con veemenza la Vukotic a metà dello spettacolo “Ti ho nutrito, ti ho plasmato, ti ho aperto la mente e alla fine sei diventato esattamente come me e te ne sei andato, esattamente come me”. Una profonda disperazione è emersa, nella misura in cui amare la vita porta tormento: infatti la protagonista dimostra di essere attaccata all’esistenza proprio nel suo voler morire, nel non voler consumarsi in un anonimo passare del tempo. Nel contrastarsi e nel parlarsi addosso, i due sembravano voler far valere la propria sofferenza, fin quando, solo nel silenzio, riescono a trovare il loro incontro. Ma il silenzio non basta, come non basta l’albero al centro della scena come unica finestra sul mondo: all’uomo e alla donna serva l’arte, il significato, come al silenzio, per essere tale, serve il suono. Ed è così che, quando lei decide di uscire per andare al Guggenheim, è partita la musica e i due si sono uniti in una danza che pareva essere il loro saluto al pubblico e al mondo intero. È stato un ballo dal trasporto intenso, ogni minimo gesto era pervaso da un’endiadi di forza e leggiadria, la tensione si è sviluppa sull’unirsi e sul lasciarsi delle loro braccia, una sorta di cordone ombelicale che si spezza, ma che sempre lascerà il suo segno.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 21 gennaio 2020
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