A PORTE CHIUSE – Giuseppe Pambieri “Nei miei spettacoli c’è una fiamma di speranza”
BORGO SAN LORENZO – L’attore Giuseppe Pambieri, che ha iniziato la sua carriera come attore teatrale al Piccolo di Milano, per poi approdare al cinema con opere quali “Il deserto dei tartari” e “Il conte Tacchia”, protagonista di numerosi sceneggiati televisivi come “Quell’antico amore” e “Incantesimo”, racconta la sua esperienza soffermandosi su quelle opere che lasciano uno spunto di riflessione nel pubblico. Venuto al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo con “Cena a sorpresa” e ora reduce dalle riprese del film “Cosa sarà”, Pambieri espone i temi a lui più cari, dando un’idea significativa della natura del teatro.
Qualche anno fa, lei è stato impegnato nello spettacolo “L’Infinito Giacomo”, in cui viene proposto un Leopardi combattente, non limitato al pessimismo cosmico dei banchi di scuola. Da dove avete ricavato quest’amore per la vita tipico del poeta di Recanati? Lo spettacolo è stato diretto da Giuseppe Argirò, che ha preso le informazioni principalmente dallo Zibaldone e dalle lettere scritte da Leopardi. Poi le ha messe sotto forma di monologo, ma tutto era supportato da fonti reali. Mi ha fatto molto piacere che abbia pensato a me per interpretare questo ruolo: l’ho amato moltissimo. Abbiamo fatto anche uno spettacolo su Pirandello, ma, fra i due, io preferisco Leopardi, anche perché suscita più emozioni nel pubblico. Solo alla fine del monologo, io dico “L’infinito”: è una sorta di addio che si apre al mondo, una luce inesauribile di speranza. Il pessimismo leopardiano non è di tipo nihilista: ci fa capire che l’uomo ce la può fare, che deve credere nel Bene. Il poeta era pervaso dalla voglia di amare, che veniva ostacolata dai suoi problemi fisici, era veramente debilitato: era alto 1,42 m e soffriva di tubercolosi. Oggi sarebbe stato un grande contestatore, i giovani lo avrebbero amato, perché aveva il fuoco dentro.
Invece uno dei suoi ultimi film è “Cosa sarà” di Francesco Bruni, in cui lei recita accanto a Kim Rossi Stuart. Il messaggio di speranza che ci lascia è significativo nel periodo che stiamo vivendo? Certamente, infatti questo film in principio avrebbe dovuto chiamarsi “Andrà tutto bene”, ma poi, durante il lockdown era diventata un’espressione troppo ricorrente, una sorta di slogan e hanno ritenuto opportuno cambiare il titolo in “Cosa sarà”, che lascia comunque intendere un po’ di fiducia nel futuro. Il soggetto si riferisce alla malattia del regista, che ha avuto un trapianto di midollo. Kim Rossi Stuart interpreta il protagonista in modo strepitoso, dovrebbero dargli l’Oscar. Io recito la parte di suo padre, un personaggio frivolo, che confessa al figlio di aver avuto un’altra figlia, la quale potrebbe essere la donatrice del midollo. Riescono a contattare la ragazza che all’inizio non vuole accettare, ma poi acconsente. Il tema trattato rischiava di diventare banale, ma Bruni non lo ha permesso, grazie all’originalità della regia. Mi ha fatto molto piacere tornare a fare cinema, poiché era passato molto tempo dal mio ultimo film e riaffrontare quest’arte con un’opera così forte, diretta da un uomo così sensibile, è stato veramente importante per me. Abbiamo partecipato al Festival di Roma, è stato il mio primo Red Carpet. Poi hanno chiuso tutto e ora lo stanno trasmettendo su qualche piattaforma in streaming.
Qualche anno fa lei è venuto al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo con lo spettacolo “Cena a sorpresa” di Neil Simon, anche questa un’opera che fa riflettere… Sì, le opere di Simon hanno molto da dire, uniscono la riflessione alla battuta, questo spettacolo ci fa capire tutto quello che ci può essere dietro ad una cena. Passare dalla commedia al dramma diverte anche di più che restare nella stessa area tematica. Mi piace molto unire più stili, amo essere eclettico.
Un altro suo progetto è la messa in scena del “Diario” di Anna Frank, un’opera che per alcuni è anche difficile da leggere da quanto è forte… Questo spettacolo ha avuto una presa pazzesca sul pubblico. Ci ha fatto pensare molto, abbiamo ricevuto i complimenti da parte dei rappresentanti del mondo ebraico. A una replica, era presente un sopravvissuto che, al termine, staccò la targa con il numero identificativo del campo di concentramento e disse di volerla donare a Micol Pambieri, ringraziandola per la sua interpretazione. È stato un momento veramente toccante. Abbiamo portato “Diario” di Anna Frank anche nelle scuole. Inizialmente i ragazzi facevano confusione, non stavano molto attenti, allora il regista Gianfranco De Bosio pensò di proiettare le immagini reali. Alla vista di quelle diapositive agghiaccianti, tutti gli studenti si zittivano improvvisamente, quel silenzio faceva veramente impressione.
Ha interpretato molti personaggi di Pirandello. La questione della forma è importante nel mondo contemporaneo in cui è forte lo scollamento tra forma e sostanza? Certo, questa discrepanza si sente sempre di più. Assistiamo continuamente alla corsa all’apparenza, al voler sentirsi più forti degli altri. È sufficiente andare in televisione perché qualcuno si senta superiore. Ma questo rivela la pochezza, la fragilità umana, ci fa conoscere chi siamo, ci permette di capire com’è fatto l’uomo.
Lei ha lavorato anche in televisione, con fiction e sceneggiati, ma sembra che non lasci mai il teatro. È vero? Sì, è vero. Il teatro mi dà respiro, non lo lascerò mai. Ora gli spettacoli sono in streaming, ma è una cosa relativa, non è lo stesso. Il teatro è legato al “qui e ora”, per sua stessa definizione. È lo specchio della nostra vita. Molti dei grandi, come Mastroianni e Gassman, sono partiti dal teatro e hanno finito la loro carriera sul palcoscenico. Oggi manca molto questo ambiente. Prima che chiudessero le sale, stavo portando in giro “Nota stonata”, con la regia di Moni Ovadia. Ci avevano conferito alcuni premi e dovevamo andare in tournée, ma non è stato possibile. Speriamo che questa situazione di sofferenza finisca presto.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 dicembre 2020